domenica 8 novembre 2009

L'Italia a Pezzi ( di Antonio Roccuzzo)....

Libri e Giornalismo
L'Italia a Pezzi ( di Antonio Roccuzzo) Nord e Sud, Reggio Emilia e Catania: una sola Italia, o piuttosto due? Cronache, persone e disavventure di un paese disunito e alla deriva, osservato da due città-simbolo della sua storica e apparentemente – solo apparentemente – insanabile spaccatura.
Non c’è nazione del mondo industrializzato dove lo scarto di civiltà, la differenza di redditi, la qualità dei servizi, la mancanza di coesione sociale siano tanto profondi e disuguali come nel Nord e nel Sud del nostro paese. Ecco le ‘portabandiera’ delle due Italie in cui viviamo e che normalmente si ignorano: Reggio Emilia, stereotipo di un modello che funziona, della convivenza civile e del senso civico; Catania, il suo alter ego, sorta di Sodoma e Gomorra stretta nella morsa della mafia. L’emiliana, città con un’opinione pubblica vivace e un’informazione locale pluralista; la siciliana raccontata da un giornale solo. Reggio Emilia, che vanta gli asili pubblici più belli e copiati del mondo; Catania che non ne ha o quasi. La prima con un’amministrazione pubblica gestita come un’impresa; la seconda con un’amministrazione colabrodo sull’orlo del fallimento. Reggio Emilia custode della memoria antifascista; Catania priva di memoria antimafia. Nord e Sud come nei vecchi cliché? La verità è più sfaccettata di così anche se non per forza migliore: perfino nel ventre pasciuto dell’Emilia si annida la criminalità mafiosa e il cuore operaio cede alle lusinghe della Lega. Questa è la storia parallela di due città agli antipodi e di un paese in cui cambia tutto per non cambiare nulla. 

Indice

Introduzione – 1. L’informazione nel Nord Notizie dal Settentrione profondo – 2. L’informazione nel Sud Una sola voce narrante – 3. Immigrati nel Nord e nel Sud Il mondo in due città agli antipodi – 4. La mafia nel Sud La droga del pizzo e i boss padroni – 5. La mafia nel Nord I clan dove meno te li aspetti – 6. L’impresa nel Nord Il profitto, la crisi e la morale – 7. L’impresa nel Sud Economia all’ingrosso e al dettaglio – 8. Lo Stato nel Sud Il Comune ha le casse bucate – 9. Lo Stato nel Nord Il Comune come impresa – 10. La memoria nel Nord I Cervi, cronache di giovani amanti della libertà – 11. La memoria nel Sud Fava, una cronaca da morire – 12. La politica nel Nord La Lega dei post-operai – 13. La politica nel Sud Il leghismo meridionale e la vecchia Dc – 14. Solidarietà tra Nord e Sud Il federalismo sociale realizzato - Ringraziamenti - Indice dei nomi

Antonio Roccuzzo
L'Italia a pezzi
Cosa unisce Catania e Reggio Emilia?
Editore Laterza
 

INTRODUZIONE

In Italia la storia del paese reale sembra essersi fermata a Teano, alla «fusione fredda» realizzata nel 1861. E a Pomezia, antico confine burocratico tracciato a metà del Novecento dalla ex Cassa per il Mezzogiorno. Se, facendosi guidare dalle statistiche, un osservatore esterno guardasse all’Italia degli anni Dieci del secondo millennio, la nazione potrebbe apparirgli tutto sommato ancorata a quelle due tappe. Ma sarebbe un abbaglio.
La vicenda dell’Unità d’Italia non è ancora storicamente compiuta. E questo libro cerca di raccontare, per storie esemplificate in due città italiane, il fatto che, centocinquant’anni dopo Teano, Nord e Sud sono pezzi di un’unica nazione spaccata in almeno due parti. Ma lo fa raccontando il cammino poco descritto di un’unità nazionale che si è fatta fuori dalle cifre ufficiali e secondo regole che le statistiche raccontano ancora troppo poco. In questo paese reale, la mafia si è già insediata nel Nord con i suoi capitali che inquinano l’economia nazionale. In assenza di un’Unità nazionale compiuta, «la linea della palma» di sciasciana memoria si è alzata fin dentro i filari di pioppi della pianura padana e oltre. Dal 1861 l’Italia si è ovviamente «modernizzata»: ha usato una bandiera sola sotto la quale combattere due guerre mondiali, ha faticosamente archiviato il fascismo e ha abolito la monarchia, poi ha scritto una Costituzione repubblicana ed è entrata nell’Europa unita; dopo l’avvento della televisione, ha definitivamente trovato una lingua comune per superare i suoi cento dialetti, ma – anche nell’era di Internet – quel fossato tra Nord e Sud dell’Italia unita è rimasto sempre lì. Profondo e cupo come un pozzo infetto che nessuno depura. Tutti sanno che esiste, tutti fanno finta di non vederlo e girano distrattamente la testa dall’altra parte. L’unità politica e poi quella costituzionale non è mai diventata unità sociale ed economica. Così, incuneandosi nel vuoto di questo imperfetto processo storico, mafie ed economia sommersa rischiano di prendere il sopravvento. Chi dalla seconda metà del Novecento in poi ha governato il paese, ha lasciato che le Italie continuassero a viaggiare dentro una sorta di «convergenza parallela». Una nazione che convive a pezzi, parla la stessa lingua, ma racconta realtà quotidiane molto diverse nel Nord e nel Sud. Il Novecento è filato via lasciandosi alle spalle un paese che sta in piedi ma è disuguale: il Nord importa manodopera, burocrazia e professori dal Sud, ma non vi esporta civiltà e sviluppo reale.
L’integrazione nazionale non ha cancellato le differenze. Non c’è nazione del mondo industrializzato dove lo scarto di civiltà, la differenza di redditi, la qualità dei servizi, la mancanza di coesione sociale tra il Nord e il Sud siano tanto profondi e disuguali come in Italia. Le statistiche – da questo punto di vista – sono eloquenti (fra poco le ricorderò); tuttavia rischiano di essere uno specchio parziale e un po’ deformato. Sotto le cifre sulle «due Italie» vive infatti una nazione fondata sull’evasione fiscale al Nord e sul lavoro nero al Sud, ma soprattutto si agita un’economia criminale che già costruisce un solo paese sommerso, brutto, sporco e cattivo. Il pericolo è reale ed è il rovescio della medaglia di questi «pezzi d’Italia». Se i dati dell’annuario Istat spiegassero fino in fondo la realtà, infatti, intere regioni del Sud Italia si sarebbero già da decenni inabissate e vivrebbero nel ribellismo quotidiano o nell’anarchia più assoluta. Non esistono, se non nel Terzo Mondo o nell’America Latina, comunità e luoghi capaci di sopravvivere per decenni dentro statistiche come quelle su alcuni pezzi del Mezzogiorno d’Italia. Ho scritto questo libro per la seguente semplice ragione: cercare di raccontare questa frattura esistente nel paese che tuttavia, e nonostante tutto, sopravvive insieme. Unito, ma
spaccato. L’ho scritto per cronache concrete e storie di persone raccolte nelle due città di Catania – dove sono nato e cresciuto – e Reggio Emilia – dove è nato uno dei miei figli. Due città scelte come metafora, l’una specchio dell’altra. Ho fatto il cronista in entrambi questi luoghi della dicotomia italiana e sono stato cittadino in entrambe queste Italie. Il mio è il punto di vista di un osservatore di fatti quotidiani che segnano la storia recente di una comunità. E nel mio viaggio dentro due mondi uniti e distanti, segnalo con forza il pericolo che l’unità economica – in assenza di una volontà collettiva e di interventi non straordinari ma quotidiani per il Mezzogiorno – possa essere realizzata nel «sommerso», con i soldi e i traffici delle mafie. Si tratta di un flusso enorme di denaro sporco – alcune stime parlano del 10% del Pil nazionale – che è l’unica vera liquidità circolante, e non più solo nel Sud, soprattutto in tempo di recessione economica. Un fiume di euro illegali che rischia di «meridionalizzare» l’Italia. Le mafie sono moderne e usano Internet, non hanno bisogno di ricorrere al credito bancario perché operano loro stesse come banche, distribuiscono migliaia di stipendi in nero, fanno credito, prestano soldi alle imprese che poi soffocano con l’intimidazione e con l’usura, investono i soldi sporchi di sangue e di droga nell’economia sana del Nord e così inquinano il prodotto interno lordo della nazione chiamata Italia, una delle prime otto potenze industriali del mondo. Nel libro descrivo però anche un modo diverso e positivo, non istituzionale perché viene dalla società, di fare «una» la nazione: esiste un Nord, non leghista e concretamente solidale, che si fa carico e interviene – senza bisogno di leggi o decreti  per proporre il suo modello cooperativo al Sud carente di reti di relazione civili. Il problema non è di fare solo il federalismo fiscale che, se applicato in modo ragionieristico, fotograferà la disunione tra Italie, ma di realizzare vero federalismo sociale. Il Sud (e la Sicilia, prima regione tra tutte) non ha bisogno di più autonomia e di più soldi, ma di più Stato, di più senso dello Stato. Il Sud Italia soffre di spaventosi vuoti di memoria collettiva; non ha ad esempio vissuto la Resistenza al nazifascismo. E non ricordandola nel suo vissuto, non può neanche litigare – come accade da anni nel resto del paese – sul significato costituente che quell’evento ha avuto nella nascita della Repubblica. Il Sud non riesce a far diventare il movimento contro le mafie il proprio momento di riscatto collettivo e non sa neanche mantenere viva la memoria dei suoi martiri antimafia.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel Sud non si è consolidata una vera e moderna opinione pubblica e il sistema dell’informazione locale, così com’è, non aiuta a farla crescere. È di questo che la nostra storia nazionale è povera. Fatta l’Italia, si è lasciato che ciascuna sua componente geografica andasse per suo conto. Dopo un secolo e mezzo, l’Italia continua a presentare il conto della propria disunione e il fossato che, nelle statistiche ufficiali, separa il paese diventa sempre più profondo. Quale conto e quale fossato? Insomma: di quali Italie parlo? Forniamo qualche cifra per ricordare alcuni termini statistici della questione. Sono dati Istat della fine del 2008 e andranno aggiornati quando la bufera finanziaria del 2009 potrà essere sintetizzata in cifre definitive. In Italia ci sono 23 milioni di persone che hanno un lavoro, quasi 17 milioni sono concentrate nel Centro-nord dove risiedono quasi 40 milioni di persone e 13 milioni di lavoratori italiani – più della metà di tutti gli occupati – sono residenti in Lombardia, Lazio, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Toscana; gli occupati nel Sud sono 6 milioni su una popolazione di circa 20 milioni di persone. Nell’Italia del Nord e del Centro, dove vivono i due terzi degli italiani, risiede il 75% della forza lavorativa del paese. Nel Nord ci sono un milione e mezzo di persone che cercano un’occupazione, nel Sud sono 850 mila. Ci sono regioni del Nord, come l’Emilia-Romagna, dove la disoccupazione è al di sotto del 4%, più bassa che in Germania; nel Sud ce ne sono alcune dove arriva al 15%, come in Calabria o in Sicilia, e in quest’ultima la disoccupazione giovanile tocca anche punte superiori al 40%. In Italia vivono circa 5 milioni di immigrati regolari e il75% di essi vive nel Centro-nord, realizzando già una società multietnica. Nel Nord ci sono 8 milioni di persone che vivono di una
pensione privata, nel Sud sono la metà. Nel Nord ci sono poco più di un milione di cittadini che percepiscono una pensione pubblica, nel Sud sono quasi 900 mila. L’Italia del Nord, alla fine del 2008 – e dunque alle soglie di una durissima recessione economica –, aveva un Pil pro capite di 29.445 euro, una media più elevata di quella di Germania, Inghilterra, Francia e Spagna, ma la media nazionale scende a 17.046 euro pro capite poiché il dato del Pil pro capite nel Sud la trascina verso il basso.Il dato è che nel Sud la gente guadagna il 20% in meno (14.626 euro) della media nazionale e percepisce anche meno della metà dei connazionali che vivono nelle regioni ricche del Nord. E ancora: il 78% dei redditi percepiti nel Mezzogiorno deriva da lavoro dipendente e da pensioni. Secondo Bankitalia (dati agosto 2009), il costo della vita nel Sud è del 16,5% inferiore rispetto al Nord. Mille euro è lo scarto che esiste tra quanto spende in menoall’anno una famiglia media nel Sud nel fare la spesa rispetto a una famiglia di una città del Nord: a Rimini o Ferrara o Aosta (prime tre per spesa annua), per comprare prodotti alimentari di uso quotidiano come pane, latte, pasta, olio o carne, una famiglia spende intorno ai 4.000 euro; a Napoli o Palermo, a Bari o Catania i dati del ministero dello Sviluppo economico parlano di una spesa alimentare media intorno ai 3.000 euro all’anno.L’Istat ha calcolato che in Italia ci sono circa due milioni e mezzo di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà e la metà di esse vive nel Sud. Il 25% delle famiglie meridionali vive ufficialmente in condizioni di povertà; nel Nord il problema riguarda il 4% dei nuclei familiari. Il Sud ha un terzo degli sportelli bancari del Nord. Il Sud ha il primato di protesti bancari, omicidi ed estorsioni. E così via enumerando: a Milano il reddito pro capite è due volte e mezzo quello di Crotone; a Trieste la giustizia è tre volte più veloce che a Foggia (certo, perché qui si consumano più reati e in relazione a questo ci sono meno giudici); a Firenze un ragazzo fa sport cinque volte di più che un suo coetaneo di Caserta (certo, perché qui ci sono meno impianti sportivi).
Nel Sud i diplomati sono il 44,3% della popolazione compresa tra i 25 e i 64 anni, mentre nel Centro-nord non si scende mai sotto il 50% e nelle aree più industrializzate si toccano medie europee vicine al 70%; in Germania i diplomati sono l’83,2% e in Francia il 67,4. Nel Nord Italia un cittadino su due legge almeno un libro all’anno; nel Sud lo fa solo uno su tre. Nel Nord ci sono il doppio delle biblioteche presenti nel Sud. Il Sud spende quattro volte di meno rispetto al Nord in consumi culturali: per andare a teatro, a sentire musica o al cinema e a manifestazioni sportive. Le rilevazioni 2008 di Audiweb (si tratta in poche parole dell’audience di Internet) sul consumo digitale degli italiani indicano che il 58,5% della popolazione tra gli 11 e i 74 anni (27,8 milioni di persone) ha un accesso a Internet da casa, ufficio, studio e altro. Le famiglie italiane con un accesso a Internet da casa sono 9,3 milioni (il 45,7%) e sono 11,4 milioni le famiglie che possiedono almeno un computer, vale a dire oltre la metà delle famiglie italiane. Se s’incrociano questi dati con quelli dell’annuario Istat 2008 sull’utenza di Internet per grandi aree del paese, si vedrà che nel Nord e nel Centro d’Italia la percentuale di chi usa Internet si avvicina alla metà degli abitanti, mentre nel Sud siamo al di sotto di un terzo. E ciò vuol dire che due terzi della popolazione delle regioni meridionali non usano mai la Rete. Nelle grandi e nelle medie città del Nord Italia, da decenni, c’è più di un giornale, ci sono tivù locali e blog che si fanno concorrenza e i cittadini possono così praticare una scelta. Si chiama pluralismo dell’informazione. Prendiamo la «vecchia» carta stampata in crisi. Nel Nord e nel Centro si consumano i quattro quinti dei giornali venduti ogni giorno in Italia: poco più di 5 milioni di copie ma con forte tendenza al ribasso; il Sud assorbe solo un quinto di questo mercato della notizia quotidiana. Il mercato dell’informazione cartacea è in picchiata dappertutto nel mondo, ma nel Sud d’Italia non ha mai decollato, neanche prima che iniziasse l’era di Internet e che i giornali entrassero in crisi di identità. A proposito di vendita dei quotidiani, ecco cosa scrive la Fieg (Federazione italiana editori giornali) nel rapporto sulla stampa in Italia 2006-2008: «A percentuali di penetrazione del 50% al Nord e del 51% al Centro (dato quest’ultimo in netto miglioramento) ha corrisposto una percentuale del 34,1% al Sud». Quello che segue è un viaggio tra questi due mondi esemplificati in due luoghi della stessa nazione: Reggio Emilia e Catania, due «pezzi d’Italia». E il viaggio parte proprio dal raffronto tra fabbriche tradizionali delle notizie in questi due lembi di Nord e di Sud.

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