Le bugie di Alfano. I giudici: il processo breve? Un disastro....
ITAGLIA......

Un per cento, dice il ministro. Cinquanta per cento, correggono le toghe. Quaranta per cento, ridimensiona il Consiglio superiore della magistratura. La guerra delle cifre continua. Il numero dei procedimenti che saltano causa taglia-processi (il ddl Gasparri-Quagliariello) resta ballerino. Ma non c’è dubbio che tra questi numeri ce n’è uno che assomiglia molto a una bugia grossa come una casa ed è per l’appunto quello sparato dal ministro in persona, Angiolino Pinocchio Alfano. Perchè è vero che anche tra Anm e Csm, tra sindacato delle toghe e Consiglio superiore della magistratura, non c’è coincidenza di cifre e percentuali. Ma si tratta di differenze fisiologiche. Di fronte alle quali il numero dato dagli uffici del ministero della Giustizia - «salterà solo l’1 per cento dei processi in corso, circa 33mila» - appare non solo improbabile ma anche surreale.
L’un per cento del ministro Guerra delle cifre, quindi, atto terzo. Il primo era andato in scena giovedì scorso quando il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha tranquilizzato il Parlamento dicendo che il ddl Gasparri-Quagliariello (il processo breve) avrebbe fatto morire «appena 33 mila procedimenti, l’1 per cento al primo grado del giudizio». Una cifra che messa a confronto dei 200 mila processi che ogni anno sono prescritti per cause naturali, la decorrenza dei termini, fa più o meno sorridere. E che certo, concluse il ministro in quell’informativa al Parlamento, non evoca gli scenari devastanti tratteggiati dalle toghe e dalle opposizioni. Insomma, il taglia-processi-salva-Berlusconi si poteva fare.
Il secondo atto è di lunedì e riguarda i dati forniti dal sindacato delle toghe «sulla base di un campione particolarmente significativo e rappresentativo» che sono i dati dei grandi distretti giudiziari. Per l’Anm a Roma, Bologna, Torino - testo delle legge alla mano - «saltano il 50 per cento dei processi». Un po’meglio a Firenze, Napoli e Palermo dove la percentuale a rischio «è tra il 20 e 30». Ieri i procuratori e i procuratori generali dei nove più importanti distretti giudiziari (Roma, Torino, Milano, Napoli, Bari, Bologna, Palermo, Firenze, Reggio Calabria) hanno riferito le loro stime, basate sull’analisi dei processi pendenti in primo grado, davanti alla Sesta commissione del Csm. «Il Csm non fa allarmismi sull'impatto del processo breve sul sistema della giustizia italiano - ha precisato il vice presidente Nicola Mancino - ma ha il dovere di dire la verità sulle difficoltà che quel provvedimento può incontrare». E così viene fuori che il «processo breve» può uccidere «tra il 10 e il 40%» con punte, a Roma ad esempio, del 50. Il consigliere Enza Maccora parla di un «dato difficilissimo da trovare» perchè «servono giorni per elaborare le statistiche fornite da Tribunali e Procure». Dalle relazioni dei procuratori convocati emerge chiara una tendenza: nelle realtà che funzionano meglio come Milano e Torino dove «nel 2009 i tempi dei processi sono sotto l'anno», il ddl Gasparri può avere un impatto «sopra il 10%» dei processi. La situazione peggiora nelle procure con tempi processuali maggiori, a Napoli la nuova norma puà incidere sul 45 per cento dei processi. Analisi e dati che, una volta di più, fanno a cazzotti con quelli riduttivi del ministro Alfano i cui uffici adesso stanno cercando un modo per uscire da una figuraccia. «Il ministro darà altri numeri» assicurava ieri un dirigente.
Numeri a parte, il «processo breve» ha cominciato il suo percorso parlamentare ieri pomeriggio in Commissione Giustizia al Senato con la relazione del senatore Giuseppe Valentino (pdl). Un avvio lento, che promette tempi lunghi anche perchè sarà la stessa maggioranza stamani ha «correggere» pesantemente il testo. La Commissione Affari Costituzionali presieduta da Carlo Vizzini (pdl) ha pronti quattro suggerimenti per rendere il testo «più presentabile ad un giudizio di costituzionalità». La norma transitoria, prima di tutto: il processo-breve «va applicato ai processi in cui non c’è stata sentenza di condanna», a prescindere quindi dal grado di giudizio (nel testo di parla del primo grado). Modificata la lista dei reati: «Da escludere - suggerisce la Commissione - i reati con pena contravvenzionale», quelli legati all’immigrazione, quindi. Una bella grana da far ingoiare alla Lega. Correzione anche per quello che riguarda l’esclusione dal processo breve dei non incensurati: «La prescrizione penale si applica solo ai recidivi riconosciuti come tali in una sentenza». Si tratta di correzioni che allargano molto il raggio di azione del processo-breve, ne aumenterebbero quindi l’impatto ma ne limitano i profili di incostituzionalità.
Tutto ciò dimostra quanto imbarazzo ci sia nella maggioranza in questa corsa sfrenata e smodata a cercare ipotesi giudiziarie salva-premier. Ieri nello staff di legali convocati per trovare soluzioni (Ghedini non basta più) è stata coltivata l’idea di correggere la formulazione del reato di corruzione in atti giudiziari, quello contestato al premier nel processo Mills. Il reato infatti si compie solo se il passaggio di danaro avviene prima della falsa testimonianza. È perfetto: i giudici hanno già scritto che Berlusconi ha corrotto Mills, ma dopo la sua deposizione.
L’un per cento del ministro Guerra delle cifre, quindi, atto terzo. Il primo era andato in scena giovedì scorso quando il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha tranquilizzato il Parlamento dicendo che il ddl Gasparri-Quagliariello (il processo breve) avrebbe fatto morire «appena 33 mila procedimenti, l’1 per cento al primo grado del giudizio». Una cifra che messa a confronto dei 200 mila processi che ogni anno sono prescritti per cause naturali, la decorrenza dei termini, fa più o meno sorridere. E che certo, concluse il ministro in quell’informativa al Parlamento, non evoca gli scenari devastanti tratteggiati dalle toghe e dalle opposizioni. Insomma, il taglia-processi-salva-Berlusconi si poteva fare.
Il secondo atto è di lunedì e riguarda i dati forniti dal sindacato delle toghe «sulla base di un campione particolarmente significativo e rappresentativo» che sono i dati dei grandi distretti giudiziari. Per l’Anm a Roma, Bologna, Torino - testo delle legge alla mano - «saltano il 50 per cento dei processi». Un po’meglio a Firenze, Napoli e Palermo dove la percentuale a rischio «è tra il 20 e 30». Ieri i procuratori e i procuratori generali dei nove più importanti distretti giudiziari (Roma, Torino, Milano, Napoli, Bari, Bologna, Palermo, Firenze, Reggio Calabria) hanno riferito le loro stime, basate sull’analisi dei processi pendenti in primo grado, davanti alla Sesta commissione del Csm. «Il Csm non fa allarmismi sull'impatto del processo breve sul sistema della giustizia italiano - ha precisato il vice presidente Nicola Mancino - ma ha il dovere di dire la verità sulle difficoltà che quel provvedimento può incontrare». E così viene fuori che il «processo breve» può uccidere «tra il 10 e il 40%» con punte, a Roma ad esempio, del 50. Il consigliere Enza Maccora parla di un «dato difficilissimo da trovare» perchè «servono giorni per elaborare le statistiche fornite da Tribunali e Procure». Dalle relazioni dei procuratori convocati emerge chiara una tendenza: nelle realtà che funzionano meglio come Milano e Torino dove «nel 2009 i tempi dei processi sono sotto l'anno», il ddl Gasparri può avere un impatto «sopra il 10%» dei processi. La situazione peggiora nelle procure con tempi processuali maggiori, a Napoli la nuova norma puà incidere sul 45 per cento dei processi. Analisi e dati che, una volta di più, fanno a cazzotti con quelli riduttivi del ministro Alfano i cui uffici adesso stanno cercando un modo per uscire da una figuraccia. «Il ministro darà altri numeri» assicurava ieri un dirigente.
Numeri a parte, il «processo breve» ha cominciato il suo percorso parlamentare ieri pomeriggio in Commissione Giustizia al Senato con la relazione del senatore Giuseppe Valentino (pdl). Un avvio lento, che promette tempi lunghi anche perchè sarà la stessa maggioranza stamani ha «correggere» pesantemente il testo. La Commissione Affari Costituzionali presieduta da Carlo Vizzini (pdl) ha pronti quattro suggerimenti per rendere il testo «più presentabile ad un giudizio di costituzionalità». La norma transitoria, prima di tutto: il processo-breve «va applicato ai processi in cui non c’è stata sentenza di condanna», a prescindere quindi dal grado di giudizio (nel testo di parla del primo grado). Modificata la lista dei reati: «Da escludere - suggerisce la Commissione - i reati con pena contravvenzionale», quelli legati all’immigrazione, quindi. Una bella grana da far ingoiare alla Lega. Correzione anche per quello che riguarda l’esclusione dal processo breve dei non incensurati: «La prescrizione penale si applica solo ai recidivi riconosciuti come tali in una sentenza». Si tratta di correzioni che allargano molto il raggio di azione del processo-breve, ne aumenterebbero quindi l’impatto ma ne limitano i profili di incostituzionalità.
Tutto ciò dimostra quanto imbarazzo ci sia nella maggioranza in questa corsa sfrenata e smodata a cercare ipotesi giudiziarie salva-premier. Ieri nello staff di legali convocati per trovare soluzioni (Ghedini non basta più) è stata coltivata l’idea di correggere la formulazione del reato di corruzione in atti giudiziari, quello contestato al premier nel processo Mills. Il reato infatti si compie solo se il passaggio di danaro avviene prima della falsa testimonianza. È perfetto: i giudici hanno già scritto che Berlusconi ha corrotto Mills, ma dopo la sua deposizione.
25 novembre 2009 (La Stampa-Torino)
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La ma maggioranza di questo governo è composta da avvocati e tutti pronti a difendere Berluskoni, quasi fossero avvocati dello stesso "premier" ma, pagati dallo Stato Italiano, vale a dire dagli italiani stessi. Un bel risparmio per il "cavaliere", non c'è che dire......
Maseghepensu
(Ma se ci penso)

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