Caso Boffo
Il machismo berlusconiano e “quelli con le gonne”
di Pierfranco PellizzettiCerto, nello scontro tra Vittorio Feltri e Dino Boffo, i truci maschioni berluscones hanno prevalso con inaspettata facilità su “quelli con le gonne” (come li chiamava Gaetano Salvemini), i vescovi dalla voce in falsetto. Tanto che ora, nei vertici vaticani, emerge l’unico macho della compagine: il robotico cardinal Bertone.
In sostanza, quando il gioco si fa duro, il furore barbarico di Silvio Berlusconi finisce come sempre per schiantare l’establishment; ben più attrezzato ai sussurri e agli intrighi di corridoio che non a una bella rissa da osteria. Situazione che ne evidenzia la consistenza, non superiore a quella di un grissino. O - se vogliamo - di un’ostia.
Sicché, anche questa vicenda ha messo in evidenza un tratto fondamentale del berlusconismo, che risulta - al tempo stesso - un punto di forza e di debolezza: l’ostentata natura di outsider, di parvenu.
Il nostro premier, in tutta la sua vicenda imprenditorial-politica, ha sempre tratto enormi vantaggi da questa condizione di Davide emergente, ingiustamente escluso dai circuiti nazionali più esclusivi, contro il presunto Golia dei “salotti buoni”, arroganti e maneggioni. Rappresentazione che fa da innesco al tifo da stadio degli aficionados; che diventa identificazione politica nel “vendicatore” da parte della neoborghesia che ha fatto i dané e pretende riconoscimento sociale, come del ceto medio frustrato: lo “zoccolo duro” del consenso berlusconiano; il “blocco storico” su cui poggia l’attuale maggioranza di governo (gli “abbienti” e gli “impauriti”).
Forse varrebbe la pena di osservare che i “salotti buoni” esistono solo nelle fantasie risentite di qualche “mezzacalzetta”. Al massimo - ancora poco tempo fa - vigevano reti di frequentazioni tra personaggi altoborghesi che si riconoscevano affini. E che consideravano Berlusconi un corpo estraneo. Tanto che la vestale di tali circuiti - Enrico Cuccia di Mediobanca - si poteva permettere di fargli fare anticamera per ore.
Come si diceva, un mondo dalla consistenza tendente al friabile (riflesso dell’inconsistenza delle classi dirigenti nazionali): il Cavaliere se ne è fatto un boccone. In parte se lo è perfino comperato.
Dunque, essere quello che i politologi definiscono “follower” (inseguitore), si è rivelato un vantaggio. Tra le mura domestiche.
La valutazione si ribalta quando si oltrepassano i confini nazionali. Dove vigono regole che sono anche di creanza. Ma non solo. Comportano la consapevolezza di limiti che non vanno mai violati.
Considerate il caso Obama, certamente anch’esso un “uomo nuovo”. Osservate come si muove, l’attenzione che presta alle “compatibilità” (dalle questioni sanitarie ai pregressi anche illegali in materia di lotta al terrorismo). Del resto, non si diventa presidente degli Stati Uniti senza assicurare adeguate garanzie “a chi di dovere”.
Perché “l’uomo nuovo” diventa leader soltanto attraversando adeguati processi formativi e di raffinazione.
Al contrario, Berlusconi continua a tracimare, trasformando la propria natura di outsider/parvenu in una sorta di cifra stilistica. Che funziona bene in casa, quanto risulta intollerabile fuori di essa. E l’essersi circondato di cortigiani dediti ai salamelecchi non aiuta a vederci più chiaro, a rettificare l’intrinseco provincialismo.
L’atteggiamento da “ghe pensi mì”, il protagonismo ossessivo quanto incurante di ogni conseguenza, produce nel concerto mondiale soltanto una sensazione di inadeguatezza, di inaffidabilità. Nella precedente stagione dei “dilettanti allo sbaraglio”, che hanno schiantato economia ed equilibri mondiali, forse ci poteva stare. Ora trasforma il Paese in un Forte Apache, dove un po’ tutti rischiano di finire massacrati.
(9 settembre 2009)
(MicroMega)

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