lunedì 15 giugno 2009

Il ventre mediocrissimo della società italiana.

Il ventre mediocrissimo della società italiana

di Emilio Carnevali, da Liberazione, 13 giugno 2009

Su Silvio Berlusconi, sulle sue vicissitudini giudiziarie, sull'opaco periodo della formazione dell'impero economico di cui è a capo, sui torbidi rapporti da lui intrattenuti - direttamente o indirettamente - con organizzazioni criminali e società segrete, insomma su tutto ciò che c'è "dietro e sotto" il potere politico ed economico del Presidente del Consiglio è stato versato un fiume di inchiostro.
Più raramente nel nostro Paese ci si è invece dedicati alla decostruzione di ciò che c'è "davanti" al fenomeno Berlusconi, a quella soft-power che accompagna l' hard power mediatico-finanziario e che costituisce il vero segreto del suo straordinario successo, tanto più complesso ed indecifrabile (attraverso le lenti dell'indignazione del "colto progressismo borghese") quanto più sguaiatamente ostentato.
In queste settimane nelle quali l'esplosione del "Casoria-Gate" ci ha proposto un ulteriore, ennesimo spiraglio della vita segreta del "Sultano" sottratta all'occhio del comune mortale, viene da chiedersi quale rivelazione clamorosa, quale scatto fotografico rubato potrebbe mai eclissare ciò che invece è stato detto alla luce del sole da Berlusconi quando ad esempio - commentando dei casi molto ravvicinati di violenza sulle donne - il Presedente del Consiglio affermò: «Non è che si può pensare di mettere in campo una forza militare spaventosa per evitare gli stupri. Dovremmo mettere tanti soldati in strada quante sono le belle ragazze italiane». Quale squallore potrebbe mai essere improvvisamente rivelato - viene da domandarsi sfogliando i quotidiani di questi giorni - che surclassi la considerazione dello stupro quasi come una conseguenza dell'avvenenza femminile?
All'inizio anni '60 Umberto Eco ha scritto una celeberrima Fenomenologia di Mike Buongiorno in cui rintracciava le radici profonde del successo di questo personaggio nella sua "mediocrità assoluta" grazie alla quale «lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti».
Oggi Pierfranco Pellizzetti ha applicato lo stesso metodo - l'analisi della realtà husserlianamante osservata "così come essa si dà" - al fenomeno-Berlusconi con la sua Fenomenologia di Berlusconi , Manifestolibri, presentazione di Furio Colombo, pp. 128, euro 14.00. Sull'asse Buongiorno-Berlusconi (fra i due è per altro intercorso un lunghissimo, e tutt'altro che casuale, sodalizio professionale) è possibile infatti rintracciare, scrive Pellizzetti, «la dimostrazione più vistosa delle profonde mutazioni avvenute, in questi anni, nel ventre mediocrissimo della società italiana»: «il passaggio dal mediocre banale al mediocre mannaro». Espressione fulminante che coglie quel complesso intreccio di arcaicità e ipermodernità, provincialismo e americanofilia, istinto predatorio e cameratismo strapaesano, smodata ricchezza e volgarità plebea che costituisce il cuore del berlusconismo come fenomeno antropologico e culturale prima ancora che politico. Il saggio di Pellizzetti analizza con estremo rigore questa mediocrità nel momento in cui essa - dopo le grandi trasformazioni degli anni '80 - è giunta a trasformarsi nell'egemonia di un ceto sociale, la "neoborghesia rampante", «che si identifica nel capo perché vi riconosce, elevati all'ennesima potenza, tutti i tratti del proprio carattere: la puerilità capricciosa che si pretende legibus soluta e il mammismo vittimistico, lo sberleffo cialtrone che si trasforma facilmente in lamento autocompatitorio», l'intimo razzismo che «balza fuori dal guscio stereotipato dall'italiano brava gente tutte le volte che questo viene a contatto diretto con l'altro dalla pelle un po' più scura».
La grande forza politica del berlusconismo è quindi scaturita dall'unione fra la solidità degli interessi materiali del nuovo blocco sociale che Berlusconi ha saputo radunare attorno a sé (quell'alleanza tra "impauriti ed abbienti" che dall'America di Reagan e Bush fino all'Italia dei giorni nostri ha «prodotto l'attacco sistematico allo stato sociale e uno stratosferico trasferimento di ricchezza alla fascia più alta del privilegio») e la potenza evocatrice di un uomo simbolo che nella propria autocelebrazione si fa epopea nazionale. La straordinaria capacità mobilitatrice di questa unione fra gli interessi e il sogno (per quanto ad una consistente parte dei cittadini italiani, fra cui presumibilmente i lettori di questo giornale, questo sogno appaia più come un "incubo") non può essere ignorata non solo per comprendere il "fenomeno Berlusconi" ma anche per organizzare strategie di resistenza e controoffensiva all'altezza della sfida che abbiamo di fronte.
Se infatti la sinistra vorrà tornare a contendere a Berlusconi e al suo blocco sociale la "presa" sul Paese dovrà avere una simile capacità di parlare allo stesso tempo agli interessi e al cuore della propria gente. Con due enormi difficoltà in più rispetto al proprio antagonista: essa non ha la potenza di fuoco mediatico-finanziaria di Berlusconi e in più il ventre profondo del Paese è orientato allo stato attuale in tutt'altra direzione. Per questo convincono poco - ma queste sono considerazioni che esulano dal discorso sviluppato da Pellizzetti nel suo libro - gli appelli al protagonismo di una società civile incorrotta contro le nefandezze della casta politica della sinistra. Le veline e le ronde non sono anch'esse "società civile"?

(15 giugno 2009)
(Micromega)

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