venerdì 3 aprile 2009

Brunetta contro le pubbliche dipendenti. La finta difesa della Carfagna.

Voce dal sen sfuggita poi richiamar non vale, non si trattien lo strale quando dall'arco uscí
*

di Alessandro Bongarzone

Roma - Sarà il clima del congresso del PdL appena concluso o l’aria di crisi che spira su tutto l’occidente ma, ultimamente, in questa nostra Italia d’inizio secolo accadono strani fenomeni, a prima vista, inspiegabili. Accade, ad esempio, che in una conferenza sulle pari opportunità, organizzata dal governo e dalla “brunetta” messa a capo dell’omonimo dicastero, all’improvviso si materializzi un “provocatore”.

Niente paura, non è il solito studentello di destra che tenta di aggredire - non più solo verbalmente - qualche alunno democratico. No, si tratta di un ministro della Repubblica che, piombato in sala, non si sa a quale titolo, nel suo intervento - fatto stavolta senza tradire la minima commozione - non trova niente di meglio da fare che aggredire le partecipanti alla conferenza arringandole come scansafatiche e nullafacenti. “Io non voglio più - dice il provocatore in questione - donne che scappino dall’ufficio per fare la spesa, per poi tornare a casa all’una e mezza e avere difficoltà a gestire la famiglia e tutto il resto”. E, nel caso che qualcuno non avesse ben compreso di cosa voglia parlare, afferma: ”Il lavoro pubblico è stato usato per tanto tempo come un ammortizzatore sociale, soprattutto da parte delle donne che uscivano a fare la spesa in orario di lavoro”. Fortunatamente, nonostante il clima di tedio e di depressione, c’è ancora qualcuna a cui “fumano” e, immediatamente, reagisce ricordando al ministro che le donne nella pubblica amministrazione sono molte perché “vincono i concorsi e sono più brave degli uomini”. Reazione un po’ moscia, sessista e competitiva ma se di meglio non si riesce a fare va bene anche così.

Peccato, però, che il provocatore, a questo punto, non contento della sua prestazione riprenda: “Se si vincono tanti concorsi come mai sono così poche le donne ai vertici della carriera?”. Sull’esempio del suo “capo” ha imparato l’arte della retorica così, la risposta alla domanda - mentre manifesta il vero pensiero sul tema “pari opportunità” del ministro Brunetta - spiega il vero motivo della sua presenza lì: indorare una pillola indigeribile come l’innalzamento dell’età pensionabile delle statali. Il ragionamento è grossolano, anche qui di meglio non si riesce a fare né si può pretendere, ma è a suo modo suggestivo e suona pressappoco così: “l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne va di pari passo con le pari opportunità, perché - a suo dire - “per la parità occorrono soldi” che si possono reperire risparmiando. Come? Semplice! Rompendo “rompere l’equilibrio attuale, per cui le donne vanno in pensione prima degli uomini come compensazione della mancata carriera e dei carichi familiari”.

A questo punto, persone normali si sarebbero già alzate e avrebbero abbandonato la sala per non percuotere Brunetta. Accade, invece, cha la “brunetta” ministra delle Pari Opportunità conquisti il palco e, senza mai nominare il provocatore, rivolta alla platea, affermi: “Non fatevi scoraggiare. Non cadiamo nelle facili provocazioni”. Per poi aggiungere, in contrasto con Brunetta che aveva parlato di “chiacchiere sulla parità”, che “i gap esistono, non sono chiacchiere, soprattutto nel mondo del lavoro”. Bene, dirà ora qualcuno: “la brunetta adirata gliene ha cantate quattro al Brunetta provocatore!”.

Sicuramente, prendendo le parti delle donne che dovrebbe tutelare, avrà ricordato al ministro della Pubblica Funzione che, secondo il grande economista Federico Caffè, lo stato è “occupatore di ultima istanza” e, come tale, svolge la sua funzione assumendosi la piena responsabilità, a nome di tutta la società nel garantire a tutti i suoi membri che ne abbiamo la capacità, l’esercizio effettivo del diritto e del dovere del lavoro: nella configurazione di un “lavoro di cittadinanza”, più conforme al dettato ed allo spirito della Costituzione del “reddito di cittadinanza”. La “brunetta” avrà quindi redarguito Brunetta affermando che il lavoro di cura, o per dirla con la filosofa della differenza Adriana Cavarero, il “lavoro riproduttivo” è fondamentale per il benessere della società e, anche, per il buon funzionamento del lavoro “produttivo” e che, quindi, se le donne vanno in pensione qualche anno prima degli uomini non ledono alcun diritto ai maschi né sono lese in alcuno dei loro diritti ma, semplicemente, vedono riconosciuto il “diritto all’uguaglianza” che - come avrebbe detto don Milani - non consiste nel trattare tutti allo stesso modo ma nel tenere conto, appunto, delle diversità e delle differenze. Pia illusione! Infatti, nulla di tutto ciò ha risposto la “ministra” ma, in un comunicato - diffuso dopo la pseudo polemica - ha dichiarato: “Nessuna polemica con il ministro Renato Brunetta. Siamo entrambi d’accordo sul fatto che esista un gap tra uomo e donna nel mondo del lavoro, ma che, allo stesso tempo, lo scopo dell’attività del nostro governo deve essere quello di eliminare sprechi e inefficienze nella pubblica amministrazione”. Ovviamente: “Chi va a fare la spesa durante l’orario di lavoro commette una truffa e va censurato” precisa la Carfagna ma, “ciò non toglie che in Italia vi siano milioni di donne che lavorano seriamente, si distinguono per la loro professionalità, e che vadano aiutate a conciliare meglio i tempi di lavoro e di cura familiare”.B

“Per quanto riguarda l’età pensionabile, la “ministra delle donne” ha sottolineato che “Non si può dire no all'Europa anche se - ha concluso - ci deve essere un innalzamento graduale che non pregiudichi i diritti delle donne che sono in età pensionabile. In particolare il fondo che sarà ricavato dai risparmi deve essere un fondo “dedicato” alle politiche di sostegno alle madri lavoratrici”.

Nessuna polemica tra “brunette”, dunque, ma semplici divergenze legate ai rispettivi incarichi di governo; un gioco delle parti, nulla di più di questo. Tranquilli, perciò, il governo va avanti compatto per la sua strada sperando d’incontrare gli interessi del Paese e delle persone che ci vivono visto che, come afferma la responsabile dell’area lavoro del PRC, Roberta Fantozzi, “è grottesco, che mentre imperversa la più grave crisi economica del dopoguerra, si voglia aumentare l’età pensionabile delle donne”. Soprattutto, perché, “alla sentenza della Corte Europea, che comunque non obbliga affatto all’aumento dell’età pensionabile - ha aggiunto la Fantozzi - si è giunti per gravi responsabilità dei governi (tutti a presidenza Berlusconi) che non hanno fatto valere il fatto che le donne nel nostro Paese non sono costrette ad andare in pensione anticipatamente ma, al contrario, possono farlo se lo scelgono, come sancito da una legge che esiste da ben 31 anni”.

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