venerdì 27 marzo 2009

Ricordi di guerra partigiana. Cap. 10°

Postato alle 01:20 di venerdì, 27 marzo 2009
da: [Masaghepensu]

Un pomeriggio, nella prima decade di Luglio, arrivò in paese mio fratello con una squadra della formazione "Badogliana" alla quale si era da poco aggregato. Trasportavano su una barella di fortuna un ferito che intendevano affidare alle nostre cure. Si chiamava Gigetto Scola, studente del mio stesso anno di corso universitario, figlio di un medico condotto di Cisano di Albenga. Pallido e sofferente per il lungo viaggio attraverso un percorso accidentato di montagna aveva il gomito destro grossolanamente avvolto in una pezzuola insanguinata.

Della squadra faceva anche parte uno studente in Medicina del terzo anno di corso, "Ninetto" Gazzano di Imperia e con il suo aiuto cercai di allontanare la tela tenacemente adesa alla ferita per il sangue raggrumato. Ma quando finalmente ci riuscì di mettere a nudo la ferita rimasi impressionato. Il gomito era pressochè spappolato, ridotto in frammenti di ossa e brandelli di tessuto, verosimilmente per lo scoppio di una pallottola esplosiva. Gigetto mi fece notare inoltre una piccola ferita sul lato destro dell'addome ma al momento non diedi troppa importanza a quel reperto e mi limitai a disinfettare la cute con della tintura iodata.

Quanto al gomito, purtroppo, non trovai altro rimedio che riavvolgerlo in fasce di lino sterilizzate per ebollizione e imbevute di una soluzione antisettica. Poco dopo la squadra "badogliana" ripartì per rientrare alla propria base ma mio fratello, che in quell'ultimo periodo aveva stretto amicizia con "Gigetto", decise all'ultimo momento di restare nella nostra "formazione".

In quei giorni con mio grande rammarico dovetti rinunciare alla collaborazione del Dott. De Marchi. per disposizione del Comando era stato trasferito in Valcona, una borgata nei dintorni di Piaggia, con l'incarico di costituire un nuovo ospedaletto da campo più vicino ai focolai di operazioni partigiane nell'alta fascia ligure costiera. Persi così un amico carissimo e un collaboratore prezioso anche se, almeno per qualche tempo, continuammo a collaborare a distanza scambiandoci informazioni, materiale sanitario e personale di assistenza.

Purtroppo De Marchi non lo avrei più rivisto perchè, come verrò a dire tra poco, perse tragicamente la vita durante un'eroica operazione di soccorso. E quello che ancora mi tormenta è il pensiero che se non si fosse allontanato da Carnino quasi sicuramente sarebbe ancora stato tra di noi. Se ne andarono pure, non ricordo per quale destinazione, Dino Grollero e il medico imperiese che, dopo i fatti di Viozene, facevano parte dell'organico del nostro ospedale.

Il gomito di Gigetto col passare del tempo andava migliorando. Per fortuna non si era manifestata la tanto temuta infezione ed i tessuti tendevano a cicatrizzare. Io mi limitavo ad allontanare con delle pinzette i frammenti di osso che spontaneamente venivano espulsi dal focolaio di frattura e umettavo due volte al giorno la ferita con una soluzione antisettica di "Euclorina". Lo stato generale del paziente si manteneva discreto. Ma ad un certo punto incominciò a lamentare con sempre maggior insistenza una sensazione di dolorosa tensione al quadrante inferiore destro dell'addome, dove, in sede di quella piccola ferita, si andava evidenziando un infiltrato flogistico.

La situazione tendeva a peggiorare e non tardarono a manifestarsi i primi sintomi della raccolta profonda con febbre, brividi e sudorazioni profuse. Evidentemente una scheggia, perchè di tale doveva trattarsi, perforati i piani superficiali, era penetrata in libero peritoneo inducendo la formazione di una sacca purulenta circoscritta. E purtroppo non si poteva escludere a priori l'eventualità di una perforazione viscerale. Si imponeva al più presto una laparatomia esplorativa non certo alla portata delle mie possibilità per cui pensai di chiedere al Comando l'intervento di un chirurgo disposto ad affrontare l'operazione nella nostra precaria situazione di emergenza.

Continuavo intanto a sorvegliare il paziente, ma quando, trascorsi altri due giorni, mi riferirono che tutti i chirurghi contattati si erano rifiutati di intervenire, mi vidi costretto a trovare da solo una soluzione. Ormai non potevo indugiare ulteriormente, le condizioni generali di Gigetto peggioravano di ora in ora e mi decisi ad incidere la forma ascessuale.
Gigetto si trovò coraggiosamente consenziente. Concertammo insieme il piano di intervento e in quattro e quattr'otto preparai quel minimo di materiale che avevo a disposizione: delle pezzuole di lino sterilizzate come sempre per ebollizione, della tintura iodata per la disinfezione della pelle, un vecchio bisturi e una soluzione di permanganato potassico per irrorare la ferita operatoria dopo l'incisione.

Pensavo di usare come analgesico una fiala di morfina che conservavo gelosamente da molto tempo. Poi, quando tutto fu pronto, disposto alla meglio su un vecchio tavolino vicino al letto, iniettai la morfina per via muscolare, disinfettai la pelle con la tintura, aspettai una decina di minuti e praticai senza esitazione un'incisione di circa cinque centimetri al centro del focolaio purulento. Gigetto, sotto l'effetto analgesico della morfina fece appena un sussulto ed io tirai un sospiro di sollievo quando vidi il pus denso e cremoso defluire dalla bocca della ferita insieme ad una piccola scheggia metallica e senza alcuna fuoriuscita di viscere o materiale fecale., nella mia poca esperienza, avevo temuto di poter ledere con quel taglio un'ansa intestinale.

Fu per entrambi la liberazione di un incubo. Gigetto si sentì subito ripreso, io ripulii con calma il campo operatorio e tamponai la cavità ascessuale con delle strisce di lino imbevute della soluzione di permanganato. già nella stessa serata non si presentò la tanto temuta e squassante puntata febbrile. Nei giorni seguenti continuai mattino e sera a medicare la ferita che, con il passare dei giorni, andava riducendosi gradualmente. Finchè, a distanza di un mese, non restava che un piccolo tramite fistoloso secernente poche goccie di seriosità.

Avevo cercato intanto di rimediare nel miglior modo possibile al difficile problema di quel gomito devastato che temevo potese bloccarsi definitivamente in una posizione viziata. Poichè non era possibile sperare in una benchè minima ripresa della mobilità, provvidi a fissare l'articolazione con delle stecche di legno per favorire l'anchilosi in una corretta angolatura. L'angolo di flessione fu stabilito dallo stesso Gigetto che intendeva, a guarigione ottenuta, imbracciare ancora il fucile e rientrare in piena efficienza nella sua "formazione" partigiana. Constatai in seguito di persona che riuscì in pieno a soddisfare
quella sua aspirazione perchè lo incontrai alcuni mesi dopo, perfettamente ristabilito, al comando di una squadra di "Badogliani".

(segue)
(Le puntate precedenti si possono leggere sul Blog: www.Masaghepensu.Splinder.com

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