venerdì 27 marzo 2009

Berlusconeide

Sabato 21 Marzo 2009 17:42

Berlusconeide di Michele Bono

C’era una volta un uomo che lavorava sempre. Lavorava da quando era bambino. Lavorava quando stava male, mentre studiava e lavorava in vacanza. Lavorava di giorno e di notte, festivi e feriali. Insomma, lavorava sempre. Fu così che divenne ricco. All’inizio l’uomo che lavorava sempre non era ricco, anzi, era poverissimo, ma col tempo, non essendosi mai risparmiato, fece un sacco di soldi.

La gente del suo paese lo conosceva benissimo. Lo aveva visto crescere quel frugoletto. Da un bambino mal vestito e rattoppato era diventato un giovanotto intraprendente, poi un uomo di successo ed ora un vecchietto milionario temuto e rispettato da tutti.

I suoi concittadini gli volevano bene e per questo, chiunque lo incontrasse, gli diceva: “Ma dove vai sempre di corsa…lavori come un matto…Perché non ti fermi e ti riposi un po’!? Tutto questo stress fa male..!!” e lui rispondeva ogni volta la stessa cosa: “Sono stanco, stanchissimo, questo lavoro fa schifo”. E scappava via.

Passavano gli anni e l’uomo che lavorava sempre cambiò moltissimi lavori: da povero fece il falegname, il marinaio, l’intrattenitore, il circense e l’impiegato. Pian piano mise da parte un bel gruzzoletto e si laureò. Con quel pezzo di carta fece il salto di qualità e grazie alle molte amicizie fatte in gioventù entrò nel mondo degli affari, dove finalmente esaudì il suo sogno: divenne così ricco che riuscì a comprarsi tutto il paese in cui viveva.

Ora la gente non lo trattava più con l’affetto bonario di quando era un ragazzo, ma iniziò a rispettarlo in un modo strano, reverenziale e ossequioso. Fu per questo motivo che, se a molti restò simpatico, a tanti altri divenne antipaticissimo. Lui era ormai così potente che se ne fregava di tutto e tutti: andava avanti per la sua strada senza guardare in faccia nessuno. Si limitava semplicemente a sorridere a chi lo amava ed inveire contro chi lo denigrava.

L’uomo che lavorava sempre, però, divenne vecchio e seppur tentò in ogni modo di resistere al tempo, non vi riuscì: gli anni passavano e lui andava incontro alla morte, si stancava sempre prima e non era più in grado di lavorare come una volta. Questo fatto non poteva proprio mandarlo giù e visto che il paese era tutto suo si comprò anche le persone: medici, portaborse, impiegati, avvocati, commercialisti e agenti immobiliari. Comprò un’infinità di gente a cui delegò molti dei suoi doveri e tenne per sé solo i medici, ai quali chiese di farlo ringiovanire. Ovviamente sapeva che non era possibile, perché l’uomo che lavorava sempre non era stupido, ma per stare tranquillo gli bastavano qualche artificio posticcio e le bugie inventate ad arte per lui.

Così trascorsero altri anni e l’uomo che lavorava sempre divenne ancora più vecchio. Ormai iniziava a perdere colpi: rideva sempre, faceva battute fuori luogo, si arrabbiava a sproposito, vaneggiava. Arrivò persino a dire di essere un extra terrestre. Quelli che lo adoravano ci credettero, quelli che lo odiavano iniziarono a sbeffeggiarlo. Lui restava inamovibile, ma era stanco e quella frase iniziava a ripeterla sempre più spesso: “Sono stanco, stanchissimo, questo lavoro fa schifo”.

Un giorno, mentre era nel suo splendido palazzo, bussarono alla porta. Nessuno andò ad aprire, né il maggiordomo né i camerieri e il campanello continuava a suonare. Indispettito l’uomo che lavorava sempre scese le scale sbraitando contro la servitù inefficiente ed andò a vedere chi fosse. Quando aprì la porta vide davanti a sé un uomo di mezza età, alto, brizzolato, elegantissimo, con un perfetto accento autoctono ed un sorriso inquietante: “Buongiorno” disse l’uomo, “sono il Lavoro”. A queste parole l’uomo che lavorava sempre scoppiò in lacrime e rispose: “Allora esisti veramente, sei tu! È una vita che ti cerco, non sai che onore! Ho dedicato ogni giorno della mia esistenza a te! Ti prego entra, parliamo un po’!”

Fece un gesto di invito, ma il Lavoro non volle entrare: “Mi dispiace, ma ho da fare” disse, “vengo per congedarti”. “Per congedarmi!? E perché? Io?” –“ Si tu, caro amico mio” rispose il Lavoro, “tu sei stato un buon amico, fedele, mi hai dedicato tutta la vita, ma ora sei vecchio, è ora di riposarti, di goderti gli affetti, le ricchezze. È ora di smettere di lavorare”.

L’uomo che lavorava sempre avvampò di rabbia ed iniziò ad urlare: “Io!? Smettere di lavorare!? Mai!! Vattene via, maledetto!! Via da casa mia o ti faccio arrestare!!” e chiuse la porta in faccia al Lavoro sbattendola con tutta la forza che aveva.

Il forte botto lo svegliò. E restò solo.
(Dazebao)

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