domenica 21 marzo 2010

La vignetta di Marco...

domenica 21 marzo 2010

Nobel per la medicina in vista.

L’appello di il Misfatto

 C’erano tutti. I torpedoni già dalle antelucanissime ore di ieri avevano cominciato a riversare nella Capitale popoli e razze da ogni dove. L’italica patria aveva ancora una volta risposto all’inclito richiamo proclamando “presente!” Poi, nel pomeriggio, sul far della sera, l’apogeo: l’intera falange umana, la solida base del Pdl o della Pdl, nella discutibile ed eversiva pronuncia transgender, espugnava Piazza San Giovanni e la annetteva a furor di popolo. O giubilo, ora l’onta era lavata. Piazza San Giovanni, il sedizioso asilo di adunate bolsceviche tornava agli antichi splendori. Roma rivendicava ancora una volta la sua appartenenza all’Impero. L’Italia era salva.   Sul palco, un uomo solo ad infiammare la folla. “Volete voi un prospero avvenire?” “Sììììì!”. “Volete voi un rigoglioso domani?” “Sìììì!” L’ecumene non tradiva incertezze, il momento era solenne. Il Popolo dell’Amore sanciva orgoglioso un limite alla dilagante supremazia del Popolo dell’Odio. A suggello di cotanto encomiabile e giovanile vigore, il fido alleato nordico guadagnava il palco e rinsaldava l’alleanza con Roma. Si consumava un trionfo destinato a far parlare di sé per generazioni e generazioni. Il sedicesimo anno del secondo Impero era compiuto. L’italica patria era Nanizzata!   (Il Fatto)
 
 

L'Aquila...“Ringraziare Berlusconi? Non ci pensiamo proprio”...

  GLI AQUILANI RISPONDONO COSÌ AL COORDINATORE PDL VERDINI, CHE LI INVITAVA AL RADUNO AZZURRO IN PIAZZA SAN GIOVANNI...
  di Chiara Paolin
  “Noi aquilani abbiamo la testa dura e una dignità infinita. Ce ne vuole prima di infilarci nei pullman per andare a ringraziare Berlusconi, come buoi con l’anello al naso attaccati al carro dell’imperatore”. Michele Fina, assessore provinciale all’Ambiente, non ha gradito la lettera in cui il coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini, si meravigliava dello scarso entusiasmo dimostrato dagli abruzzesi nel partecipare al raduno azzurro di ieri a Roma. Ma come, si chiedeva il Verdini: noi gli abbiamo dato le case e loro neanche vengono a ringraziare? Caro governatore Chiodi, illustri onorevoli e consiglieri regionali, questa la sostanza della missiva,  prendete un bel megafono, girate le new towns e portateci in corteo almeno cinquemila persone, perché se non risponde l’Abruzzo, non vale niente governare!. E anche il premier dal palco di San Giovanni ha ricordato “il miracolo Abruzzo”, ovvero “case eleganti dotate di ogni confort” elargite ai terremotati come in un sogno, ma solo grazie al duro lavoro di   persone “intellettualmente oneste” come Guido Bertolaso. Basita la presidente provinciale, Stefania Pezzo-pane: “'Verdini non conosce la differenza tra Stato e partito. Dimentica che il progetto Case è stato pagato dagli italiani, non certo dal suo partito. Oltretutto si sta accertando se lo stesso Verdini sia coinvolto nel giro degli sciacalli che hanno fatto affari sul terremoto: in attesa della verità, è allucinante che si permetta di offendere i terremotati con pretese di risarcimento elettorale per un intervento che era nei doveri istituzionali del governo”. Ma oggi è un altro giorno tosto per L’Aquila. Perché il popolo delle carriole vuole tornare in piazza a spalare le macerie nonostante la zona rossa sia tornata invalicabile: adesso ci pensa l’esercito. Dopo tre domeniche di raccolta volontaria, giovedì sono spuntati in piazza Palazzo camion, muletti e militari. Il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, ha fatto sapere che il problema dei 4,5 milioni di metri cubi di macerie è praticamente risolto: “É partita la rimozione, in pochi mesi libereremo il   centro della città”. Caustica la risposta di Fina: “É una presa in giro totale. Nonostante lo scarso interesse della Protezione civile per l’argomento, abbiamo lavorato mesi e mesi a un progetto organico, sperando che prima o poi saremmo riusciti a metterlo nell’agenda della ricostruzione. Invece col passaggio di consegne a Chiodi si è ripartiti da zero. Il nuovo referente è diventata la Prestigiacomo, abbiamo dovuto riprendere in mano tutto e alla fine ci siamo ritrovati sul tavolo una nota striminzita, firmata da Chiodi, in cui si parla di rimuovere e posizionare il materiale in depositi temporanei, cioè al massimo per tre mesi. E poi? Come saranno recuperate e inviate a riciclo le macerie? Con quali risorse economiche? Qui la priorità è rubare la scena alle carriole, buttare tutto in un angolo e poi, dopo le elezioni, dire che mancano i soldi per fare il resto: un recupero preliminare attento, il riciclaggio del materiale inerte per destinarlo a usi industriali o ambientali corretti. Ma servono tempo e denaro, qui invece si vuole fare in fretta e spendere niente”. Intanto quelli dei comitati non mollano   la presa. Alessio Di Giannantonio, del comitato 3.32: “Il primo giorno sono arrivate le ruspe, tiravano su tutto, abbiamo subito protestato. Allora è venuto Chiodi, ha detto che bisogna fare attenzione, ci hanno permesso gentilmente di entrare nel cantiere. C’erano pure dei funzionari delle Belle Arti, ce li hanno presentati come i custodi degli stucchi, dei pezzi pregiati. Benissimo. Solo che   siamo tornati la mattina dopo: Vigili del Fuoco e ruspe lavoravano grossolanamente, i funzionari erano spariti”. Al 3.32 i volontari hanno pale e secchi pronti per una nuova giornata di lavoro, e anche un cruccio: “L’altra sera aspettavamo Bertolaso per la riapertura della chiesa di Santa Maria del Suffragio, doveva essere il suo grande rientro in città. Ha sempre seguito con grande devozione i lavori, nella sua recente visita in Vaticano ha persino regalato al Papa la miniatura della   campana che tornerà a suonare qui. Visto che ci ha criticato volevamo rispondergli di persona, ma non s’è visto. Strano”. Forse si stava preparando per la prossima missione, cioè il summit sulla gestione del terremoto di Haiti che si terrà da domani a Miami sotto la direzione di Hillary Clinton. Bertolaso spiegherà ai colleghi di tutto il mondo cos’è stato fatto in Abruzzo e qual è il modello d’intervento made in Italy. Verdini incluso? (Il Fatto Quotidiano del 21 Marzo 2010)  
  I cittadini de L’Aquila muniti di carriole (FOTO ANSA) 

Silvietto a Squola...

 
 

sabato 20 marzo 2010

Sono stato bannato..?

Oggi 20 Marzo 2010, non riesco più ad entrare nel mio Blog su Splinder. Sono stato "bannato"...?Se si, bella la democrazia in cui si vive in Italia.    Masaghepensu (Ma se ci penso) 
Domando, a chi leggesse, di controllare se, dal Suo PC riuscisse a collegarsi con: Masaghepensu.Splinder.com 
Grazie in anticipo per la cortesia.... 

mercoledì 13 gennaio 2010

Quando Schifani faceva l’autista.....

“IO, RENATO, TOTÒ CUFFARO E QUEGLI INCONTRI AL BAR” di Marco Lillo
Per capire chi è Massimo Ciancimino bisogna passeggiare con lui tra il Pantheon e piazza di Spagna, dove ha abitato con il padre quando don Vito era agli arresti domiciliari. Le migliori boutique, da Cenci a Car Shoe, se lo contendono. I vip e i politici, magari un po’ sfuggenti ora che è famoso, lo salutano. Nei ristoranti alla moda, come Maccheroni o Riccioli Caffè lo accolgono come un’autorità e lo abbracciano chiedendogli del piccolo Vito, il bambino che porta il nome del famigerato nonno sindaco mafioso e assessore all’urbanistica del sacco di Palermo.
Massimo Ciancimino, prima di essere arrestato nel 2006 con l’accusa di aver riciclato il tesoro del padre era un rampollo della “Palermo bene” che lo apprezzava proprio per le stesse ragioni per i quali i pm volevano arrestarlo. Nonostante il padre fosse stato condannato per mafia, gli avvocati in cerca di clienti e le belle figliole in cerca di sistemazione mormoravano al suo passaggio: “Il padre gli ha lasciato un patrimonio di centinaia di milioni di dollari in Canada”. Lui non faceva nulla per smentire la leggenda e parcheggiava il suo Ferrari sul molo per poi salire su un fuoribordo Itama 55 con il quale incrociava tra le Eolie e le Egadi. Democristiani e forzisti lo consideravano un amico. E ora lui sta riversando ai magistrati tutto quello che ha visto e sentito in tanti anni passati a cavallo tra mafia e politica. Davvero imperdibile il verbale del 22 dicembre scorso nel quale Ciancimino jr racconta ai pm come ha conosciuto Cuffaro e Schifani: “Nel 2001, avevo incontrato l’Onorevole Cuffaro a una festa elettorale.... poi mio padre mi ha ricordato che faceva l’autista all’ex ministro Calogero Mannino quando pure io accompagnavo mio padre alle riunioni. Poi ho ricollegato: quando accompagnavo mio padre dall’onorevole Salvo Lima (prima in rapporti con i boss e poi ucciso nel 1992 dalla mafia, secondo i pentiti Ndr) spesso rimanevamo io fuori dalla macchina e c’era Renato Schifani che guidava la macchina a La Loggia (non Enrico ma il vecchio Giuseppe, importante politico Dc eletto presidente della Regione Sicilia e poi deputato Ndr). Io rimanevo con mio padre e Cuffaro guidava la macchina a Mannino. Diciamo i tre autisti erano questi. Oggi ovviamente gli altri due hanno fatto ben altre carriere, io no. Andavamo a prendere cose al bar”. E poi la chiusa da attore consumato: “C’è chi è più fortunato nella vita!”. Non c’è da scandalizzarsi se, come ha raccontato Lirio Abbate, è stato proprio il figlio di don Vito a consigliare ad Angelino Alfano quando non era ancora ministro ed era ancora calvo, un professore in grado di restituirgli la chioma con un trapianto. Il fatto è che Massimo Ciancimino è simpatico e maledettamente sveglio. Con un padre padrone che dava ripetizioni a Provenzano al mattino e lo legava alla catena alla sera per frenare la sua irrequietezza, ha dovuto tirare fuori presto la sua personalità. Mentre il fratello più grande studiava per il concorso in magistratura (fallito all’orale), lui pensava a fare soldi. Quando lo arrestano aveva appena ceduto la quota ereditata dal padre nella società che si occupava della metanizzazione in Sicilia (con la benedizione dei boss). L’altra socia era la nuora di un procuratore antimafia. E molti politici di Forza Italia avevano ottenuto finanziamenti grazie a quella società. Dopo l’arresto tutti lo mollano. Il giovane Ciancimino si sente tradito e, dopo la condanna in primo grado, comincia a raccontare una parte di quello che sa. Si dice che la parte più interessante dei verbali sia ancora coperta da omissis. E che lì si parli anche di un certo Silvio Berlusconi.

mercoledì 9 dicembre 2009

Dal druido all’imam - I PADANI PAGANI

di Beatrice Borromeo
  “A Pontida Roberto annunciò che ci saremmo sposati con rito celtico. E’ stata una sua idea, per me una sorpresa – ricorda la moglie del ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, Sabina Negri – e Formentini, che doveva celebrare, venne da me e mi chiese: ma come si sposano i celti?”. Le prime vere nozze padane – e pagane – le ha celebrate il 20 settembre del 1998 l’ex sindaco di Milano Marco Formentini, druido per l’occasione, nel nordico castello di Gianluca Vialli a Cremona. Sulle note verdiane di “Va pensiero”, suonata al pianoforte dal senatur (e ospite d’onore) Umberto Bossi, sfilava col suo abito bianco dai contorni rigorosamente verdi la Negri, diventando la bionda consorte dell’allora segretario nazionale della Lega lombarda, Calderoli. Ci tenevano a rispettare le tradizioni, ma gli ostacoli, racconta Sabina, erano tanti. Perché quelle tradizioni nessuno le conosceva: “I   Celti non hanno lasciato nulla di scritto. Sapevamo solo che dovevamo scambiarci i bracciali al posto degli anelli e che dovevamo avere tanti testimoni. Io e Roberto ne avevamo quattro ciascuno, tra i miei c’era anche un ex fidanzato. Poi Formentini si è arrampicato sull’albero per raccogliere il sacro vischio”. Non è mancato il sidro, offerto dal druido agli sposi, ma per Sabina "non era affatto buono, un saporaccio". Pensavo non avessero lucidato bene il calice, Roberto credeva che ci fosse rimasto dentro il disinfettante”. Poi il “giuramento davanti al fuoco che purifica” e il tentativo, fallito, di fondere due monete in segno d’unione. Tutti commossi, a partire da Bossi che annuncia: “Non siamo latini, fummo sconfitti dai Latini”.   Nei giorni dell’attacco della Lega al cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi, risalta l’evoluzione leghista, dal neopaganesimo alla difesa dei valori cristiani. Perfino contro chi, come il prelato, è considerato troppo morbido con il multiculturalismo che assedia   la cristianità padana. Quello del Carroccio è il partito timorato di Dio, legato alle tradizioni della Chiesa tanto da dare lezioni agli stessi cardinali oppure è un movimento che inneggia ai Celti e che celebra matrimoni al cospetto del druido? “Quando ci siamo sposati – ricorda Sabina – era il periodo in cui Bossi urlava contro i ‘vescovoni traditori’ e i rapporti col Vaticano non erano ottimi”. Stessi toni, oggi, con obiettivi diversi. Calderoli si chiede se Tettamanzi sia “un vescovo o un imam”, e dice che “con il suo territorio Tettamanzi non c’entra proprio nulla. Sarebbe come mettere un prete mafioso in Sicilia”. Se Tettamanzi porge l’altra guancia, non manca chi lo difende: un attacco "rozzo e volgare" – commenta il presidente della commissione Antimafia, ed ex ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu – impartito da un esperto di matrimoni celtici che dà lezioni di pastorale cristiana”. La Negri ripercorre gli anni di matrimonio, prima della separazione: “Noi in chiesa non   ci siamo mai andati – ammette – poi di colpo questi della Lega sono diventati cattolici e osservanti, anche se in molti erano divorziati e con figli a carico. Hai idea di quante prediche mi sono dovuta sorbire su casa e famiglia, all’improvviso, da un giorno all’altro?”. Un giorno che ha una data precisa, l’11 settembre 2001, quando “la gente chiedeva   un partito cattolico da votare”, racconta Sabina, contro l’islam che faceva paura.    Sempre nel 1998, sempre con rito celtico, si è sposato il vice-ministro Roberto Castelli. Nozze poi “regolarizzate” in comune, come quelle di Calderoli, poi celebrate anche in Chiesa. Per rispettare le nuove origini ancestrali del partito. (Il Fatto Quotidiano del 09/12/09)  


  Il matrimonio celtico del ministro leghista Roberto Calderoli (FOTO ANSA)

TRASMISSIONI ITALIANE - LA MAFIA E BERLUSCONI: 25 ANNI DOPO DICONO LE STESSE COSE....

  di Loris Mazzetti
  È il momento del senatore Marcello Dell’Utri, non solo per la sua presenza nelle aule dei tribunali, ma soprattutto per le apparizioni in tv, dove difendersi è un po’ più facile soprattutto quando il salotto è accogliente e amico come quello di “Porta a porta”. Sono rimasto attratto dal titolo della trasmissione: “Appesi ad un killer pentito” e dalla presentazione fatta da BrunoVespa che, dopo aver raccontato l’onorata carriera di Gaspare Spatuzza (40 omicidi e 7 stragi), si è chiesto: “…ci si può ricordare, 16 anni dopo, di aver sentito, 16 anni prima, da un’altra   persona che il senatore Dell’Utri insieme a quello di Canale 5, Silvio Berlusconi, che stavano per fondare un partito, che erano già i nuovi referenti della mafia?”. Se questo è l’inizio, mi sono detto, “il vestitino su misura”, va visto. Chi erano i giornalisti ospiti della trasmissione? Travaglio, Bolzoni, Gomez, Lodato, La Licata, Abbate? No, loro se ne occupano quotidianamente e qualche domanda inopportuna avrebbero potuto farla, meglio l’onnipresente Belpietro e il garantista Sansonetti. Poi, in difesa Fabrizio Cicchitto, in attacco Andrea Orlando (responsabile Giustizia del Pd), troppo perbene, non in grado di praticare il gioco duro . Tutti gli argomenti sono stati toccati: l’attendibilità dei pentiti; la necessità di modificare la legge   che li gestisce; la testimonianza di Spatuzza (devastante per la politica interna e per l’opinione pubblica internazionale); il comportamento anomalo della stampa che interferisce e condiziona il lavoro della magistratura, ecc. Premesso che alle parole dei pentiti devono sempre corrispondere fatti, a “Porta a porta” si è capito che, quando questi smettono di parlare della mafia di strada e fanno nomi eccellenti, immediatamente scattano i pregiudizi: Spatuzza è attendibile quando racconta dell’attentato di via D’Amelio, invece, quando parla di Dell’Utri e Berlusconi, no. Lo fa per uscire dal carcere, per avere una nuova vita, un lavoro per sé e la famiglia e anche un volto nuovo. Vespa si è ben guardato dal citare le frasi che recentemente il Cavaliere ha detto contro certi giornalisti e scrittori che scrivono di criminalità organizzata, in particolare gli autori della “Piovra”, che “dovrebbero essere strozzati perché hanno fatto conoscere nel mondo la mafia”. Il conduttore ha fatto rimpiangere la Rai del lontano 1984, purtroppo scomparsa, che faceva discutere tutta l’Italia, in famiglia, dentro i bar, nelle piazze. La “Piovra”, una fiction che ebbe la forza di mettere sotto accusa l’alta società siciliana, avvocati, banchieri e politici, parlò del riciclaggio di denaro sporco fatto dalle banche, di traffici di droga che solo con la trasformazione dell’eroina portava nelle casse della mafia circa 800 miliardi di lire. La criminalità organizzata venne raccontata non più come un fenomeno solo locale ma nazionale   , se non addirittura internazionale. In occasione dell’ultima puntata, il 19 marzo 1984 (15 milioni di telespettatori), Alberto La Volpe, giornalista del Tg1, realizzò uno speciale dal titolo “La mafia dal film alla realtà”. In studio con lui, oltre al regista Damiani, rappresentanti delle forze dell’ordine, del Csm, della politica, più vari collegamenti. Il momento più interessante fu quando le telecamere entrarono, per la prima volta, in uno dei luoghi della Palermo bene: il circolo sportivo “Lauria”, pieno di imprenditori, professionisti, rappresentanti della vecchia nobiltà, dell’economia e della finanza. Nel circolo “Lauria”, nel 1982, avvenne il debutto in società del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, da poco nominato prefetto di Palermo.      I soci in diretta tv, 25 anni prima, pronunciarono le stesse parole di Berlusconi. Fatto sconvolgente e significativo allo stesso tempo. Questo fatto è la dimostrazione che da allora nulla è cambiato. In particolare l’avvocato Paolo Seminara, presidente dei penalisti di Palermo e difensore di mafiosi, disse: “La letteratura ha creato un’atmosfera di sospetto nel rapporto tra il processo e il difensore”. E a proposito dell’esistenza del terzo livello della mafia, composto da insospettabili, aggiunse: “Il terzo livello si legge in una letteratura giornalistica che produce riflessi nell’ambito giudiziario. Una tesi che per me è soltanto il frutto di scelte politiche ideologiche che non hanno corrispettivo nella nostra società. L’illecito esiste dappertutto, se verrà scoperto sarà un caso isolato e non può essere generalizzato e teorizzato”. I giudici Falcone e Borsellino, come ha ricordato recentemente il procuratore Gian Carlo Caselli, che oggi sono ricordati come eroi, qualche anno prima della loro morte stavano per sconfiggere la mafia, nel momento in cui cominciarono ad occuparsi del sindaco di Palermo Vito Ciancimino, di Salvo Lima, dei fratelli Costanzo (i costruttori di Catania), dei cugini Salvo, cioè di mafia e politica, mafia e affari,   mafia e istituzioni, iniziarono i guai perché furono lasciati soli. “Nessuno come me ha fatto tanto contro la mafia”, ha detto Berlusconi. Nel frattempo, in Procura a Palermo, non c’è la carta per le fotocopie e si ricicla quella usata da Falcone per gli ordini di servizio. Gli arresti di questi giorni dimostrano l’impegno delle forze dell’ordine e della magistratura, il governo, invece, cosa fa? (Il Fatto Quotidiano del 09 Dic. 2009)

venerdì 4 dicembre 2009

Il mio primo Blog....

Amici, mi trovate anche su Splinder...:

Masaghepensu. Splinder.com

mercoledì 2 dicembre 2009

COMPROMESSO MONDADORI...


  Per ora Fininvest non pagherà, ma Cir ottiene una fideiussione che la soddisfa. Ecco le strategie

  di Antonella Mascali
  Tregua giudiziaria tra la Fininvest e la Cir: l’azienda di Berlusconi può continuare a non pagare i 750 milioni che deve alla società di Carlo De Ben-detti, per lo scippo della Mondadori. Il maxi risarcimento è stato stabilito dalla sentenza di condanna, emessa in primo grado, dal giudice del Tribunale civile di Milano, Raimondo Mesiano. Ieri, davanti alla Seconda Corte d’appello, la corazzata di avvocati e consulenti Fininvest, capitanata dall’ex giudice della Consulta, Romano Vaccarella, ha tirato fuori una proposta per non sborsare quei soldi, che non sono bruscolini neppure per Berlusconi. All’inizio dell’udienza, a porte chiuse, il presidente Luigi De Ruggiero ha chiesto alle parti di verificare se ci fossero le condizioni per un accordo sulla sospensiva dell’esecutività della pena e   la difesa Fininvest ha proposto la concessione di una fideiussione bancaria per l’intera somma, cioè di una garanzia per la Cir di riscuotere (in caso di conferma di condanna del Biscione) i soldi dovuti, compresi gli interessi. Pausa dell’udienza. L’altra corazzata di legali e periti, quella della Cir, con in testa gli avvocati Elisa Rubini e Vincenzo Roppo, sono usciti dall’aula senza dire una parola ai giornalisti che li assediavano, si sono infilati in un corridoio, hanno confabulato per una decina di minuti e sono rientrati. Hanno fatto sapere che in linea generale sono disposti a non avviare la procedura, laboriosa, per incassare il risarcimento, ma in cambio hanno chiesto certezza sulla brevità dei tempi di una sentenza nel merito della causa civile, cosa che ha detto di volere anche la difesa Fininvest. I giudici De Ruggiero, Walter Saresella e Cristina Pozzetti si   sono impegnati a pronunciarsi sulla conferma o meno della sentenza Mesiano, entro il 2010 e hanno già fissato per il 23 febbraio la prima udienza di merito. Se avessero dovuto seguire il calendario naturale delle cause assegnate alla Seconda Corte d’appello civile, quella Fininvest contro Cir sarebbe stata fissata nei primi mesi del 2012, cioè due anni dopo. Ma il 22 dicembre prossimo le parti torneranno davanti ai      giudici perché la Cir si è riservata di accettare questa intesa temporanea (come ha specificato in un comunicato), solo dopo aver letto il deposito e le modalità di fideiussione. Per la Fininvest, una sospensiva temporanea del risarcimento era stata decisa   il 27 ottobre scorso, dall’altro presidente di sezione, Giacomo Deodato, in vista dell’udienza di ieri. La soluzione tampone della fideiussione, però, non è piaciuta per nulla a Fedele Confalonieri. Il presidente di Mediaset   si è lamentato dopo un incontro all’Università Cattolica di Milano: “È una cosa che comunque sia danneggia la Fininvest, che non ha più la libertà che aveva prima sotto il profilo finanziario. La fideiussione è una garanzia e la garanzia costa, blocca la capacità di credito per quella cifra”. Per quanto riguarda le ripercussioni su Mediaset, Confalonieri ha detto che la questione è un po’ diversa “perché Fininvest possiede meno del 40 per cento. Comunque danneggia”. Ma il professor Vaccarella, al termine dell’udienza aveva spiegato, con toni forti, che la concessione della fideiussione è l’unico modo per “evitare uno spargimento di sangue, che non è utile in questo momento. A noi – ha concluso – interessa una decisione sollecita e questo interesse ce l’ha anche la Cir. La Corte è disponibile e preferiamo giocare a bocce ferme”.  

  Il presidente della III sezione della Corte d’Appello di Milano Silocchi legge la sentenza Mondadori: un anno e 6 mesi per Previti, Acampora e Pacifico e due anni e 8 mesi per l’ex giudice Metta (FOTO ANSA)



martedì 1 dicembre 2009

“LO SDOGANATORE DI DITTATORI” Prima Gheddafi, ora Lukashenko: Berlusconi e la ragion di business....

di Giampiero Calapà
  Dopo Putin e Gheddafi, la politica estera italiana approda anche in Bielorussia. Fatta salva la ragion di Stato, pare che il premier Silvio Berlusconi abbia una certa facilità all’amicizia con i tiranni. Per l’ex ministro al Commercio internazionale, la senatrice radicale Emma Bonino, questo governo è impegnato nello “sdoganamento dei dittatori” con “misteriosi viaggi all’estero”. Tanto che il sottosegretario Paolo Bonaiuti attacca: “La Bonino si consoli, non c’entra nulla Agatha Christie. Si parla dei principali temi dell’agenda mondiale”.    Appunto. Senatrice Bonino, che messaggio arriva alle segreterie di Stato delle altre    nazioni del Patto atlantico?      Magari fossimo ancora allo stadio dei “messaggi”, perché lo sdoganamento di dittatori da parte di Berlusconi è ormai universalmente noto. Tant’è che Lukashenko stesso ha detto di non credere che “Silvio mi chiederà garanzie democratiche”: lo conosce bene evidentemente. E il governo italiano è stato particolarmente attivo a Bruxelles nel chiedere di eliminare le sanzioni   contro la Bielorussia. La nostra politica estera, se così vogliamo chiamarla, è soprattutto totalmente opaca e non rende conto a nessuno qui in Italia. Peccato che il nostro più grande partito d’opposizione non sembra preoccuparsene più di tanto”.    Se lei fosse il ministro degli Esteri, in visita in Bielorussia cosa chiederebbe a Lukashenko?    No guardi, una visita bilaterale non sarebbe neppure ipotizzabile. Semmai si potrebbe immaginare qualche iniziativa solo in un contesto concordato e condiviso a livello multilaterale o europeo.      Da un dittatore all’altro. Gheddafi viene spesso e volentieri a Roma. L’Italia, compresa la sinistra dei D'Alema, stringe con lui patti sulla sorte dei migranti. La Libia è un partner credibile e serio per governare insieme una questione così delicata?    I Radicali sono stati tra i pochi in Parlamento a opporsi a questo accordo grottesco. Non mi pare che Gheddafi abbia alcuna intenzione di occuparsi del fenomeno dell’immigrazione, se non nel peggior modo possibile, modo di cui ci giungono solo gli   echi perché l’Onu non può operare in Libia. L’unico risultato concreto di questa politica è che Gheddafi ormai a Roma è di casa, con tanto di sceneggiate con le hostess a pagamento. Grazie anche a D’Alema, non c’è dubbio.    Come giudica l’attuale inquilino della Farnesina, Franco Frattini?    Non è una questione di persone: esprimo giudizi politici su aspetti importanti della politica estera. Su altri aspetti, per esempio nella campagna internazionale contro le mutilazioni genitali   femminili, il livello di cooperazione è intenso e positivo. E, con buona pace di Paolo Bonaiuti, conoscere e discutere i capisaldi di una politica non dovrebbe esser ritenuto reato di lesa maestà.    La Svizzera ha deciso: niente minareti. E la Lega lancia la proposta di mettere la croce nel tricolore. Mandiamo i leghisti in Svizzera o costruiamo qualche moschea in più?    Se non ricordo male Bossi del tricolore voleva fare ben altri usi. Purtroppo la Lega non riesce mai a dare risposte equilibrate, neppure se si tratta di una decisione che riguarda gli svizzeri.   Anche stavolta cavalca le paure per ottenere facili consensi. I minareti sono parte integrante delle moschee, sarebbe come costruire una chiesa senza campanile. Se la proliferazione delle moschee è per loro fonte di preoccupazione allora dovrebbero preferire di gran lunga che ciò avvenga alla luce del sole. Ma consentire la libertà religiosa per poi vietarne i segni esteriori è perlomeno ipocrita. (Il Fatto Quotidiano)  
  Alexandr Lukashenko, 56 anni (FOTO ANSA)

SCENDILETTA di Marco Travaglio....

L’elettore del Pd, si sa, è nato per soffrire. Ma non è dato sapere quale peccato mortale, o addirittura originale, debba espiare per meritarsi questo martirio quotidiano. Martedì scorso è costretto a sorbirsi a Ballarò le elucubrazioni di Luciano Violante, responsabile Istituzioni del Pd: i processi a Berlusconi creano un conflitto insanabile fra “democrazia e legalità”, ergo bisogna regalargli uno scudo costituzionale in cambio del ritiro del “processo breve” (così il Cavaliere eviterà di andare a sbattere con l’ennesima legge incostituzionale e godrà di un’impunità a prova di bomba, prevista addirittura in Costituzione). I cinque giorni di silenzio di Bersani fanno ben sperare il povero elettore. Invece domenica, intervistato da Repubblica, Bersani sposa la linea Violante: “Il governo ritiri il provvedimento che cancella i processi e si apra un confronto parlamentare a partire dalla bozza Violante… In quel contesto si possono affrontare anche le questioni del rapporto sistemico tra esecutivo, Parlamento e magistratura. Il problema della magistratura c’è e non ha trovato un punto di equilibrio in tutti questi anni”. La legge è uguale per tutti, un bel guaio, occorre rimediare.   Quanto al NoBDay di sabato, bontà sua, Bersani autorizza “militanti e dirigenti” a partecipare. Magari mascherati da Arlecchino, Brighella e Colombina. Intanto il premier accusa i magistrati di volere la “guerra civile” e Napolitano zittisce i magistrati. Violante, demolito da Barbara Spinelli sulla Stampa, risponde che, “mentre tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”, qualcuno è più uguale degli altri: “Gli eletti alle massime cariche dello Stato possono essere esentati dalla responsabilità penale o, in modo assoluto, per determinati reati, o, a tempo, sino a quando rivestono una carica politica. E’ la prevalenza del principio democratico sul principio di legalità”. Siccome nessuno chiama l’ambulanza per portarlo via, l’elettore comincia a domandarsi che differenza passi fra Pdl e Pd, a parte la elle. La risposta la dà ieri il vicesegretario Pd Enrico Letta al Corriere della Sera. L’organo dell’inciucio, che spende un capitale per reclamizzare la propria indipendenza mentre pubblica editoriali degni del Giornale e del Predellino, chiede per la penna di Sergio Romano una nuova “forma di immunità” per Berlusconi. Le accuse di mafia sembrano (a Sergio e a Silvio) “poco plausibili” e tanto basta: chissenefrega se sono vere o false. Mettiamoci una pietra sopra e lasciamoci governare da un possibile amico della mafia visto che “ha una consistente maggioranza”. Anziché domandare a Romano se gli capiti mai di arrossire mentre scrive certe scempiaggini, il piccolo Letta dice che “il grido d’allarme di Romano è condivisibile” e che “mai le forze politiche sono state tanto vicine a un’intesa sul merito delle riforme” con il noto statista che accusa i giudici di “guerra civile”. Dopodiché il Lettino giura che il Pd si guarda bene dal “cercare scorciatoie per far cadere il governo e liberarsi di un Berlusconi che non è un ‘ingombro’”. Quella è roba da oppositori e lui, modestamente, non lo nacque. Poi spiega che, dopo un colloquio al Quirinale con Bersani e Napolitano, “il Pd non opporrà obiezioni al ricorso al legittimo impedimento”. Anzi, dice Enrico scavalcando lo zio Gianni, “consideriamo legittimo che, come ogni imputato, Berlusconi si difenda nel processo e dal processo”. Insomma “l’opposizione si attiene a quanto detto dal capo dello Stato”. Notiziona: il Pd delega a Napolitano la guida dell’opposizione e, dopo averlo incontrato, autorizza il premier a fuggire illegalmente dai processi “come ogni imputato” (è noto infatti che ogni imputato, tipo i marocchini imputati di spaccio di hashish, possono sottrarsi alle udienze, impegnati come sono a Dubai o al Consiglio dei ministri). A questo punto ben si comprende la riluttanza dei vertici Pd a partecipare al NoBDay. Gli elettori potrebbero riconoscerli.  

lunedì 30 novembre 2009

A DOMANDA RISPONDO IN MEMORIA DELL’ANTIBERLUSCONISMO...

  Furio Colombo
   
Caro Colombo, ancora una volta si risente il vecchio invito: “Abbassare i toni”. Questa volta lo dicono Nicola Mancino, vicepresidente del Csm – dunque una raccomandazione ai giudici – e Renato Schifani, presidente del Senato e, Dio non voglia, seconda carica dello Stato. Dunque una ammonizione a tutti gli italiani. Prima domanda: che cosa vuole dire, visto che in giro non c’è nessuno che grida? Seconda domanda: come si realizza il capolavoro che riesce sempre a far dire la stessa sorprendente frase da uno di qua e uno di là, purché siano voci autorevoli?      Salvatore 


RISPOSTA alla prima domanda. La frase “adesso abbassiamo i toni” ha un significato molto diverso. Detta “di qua” (che vuol dire cultura estranea alla maggioranza governativa), vuol dire scegliere come strumento di opposizione, o comunque di differenziazione, la pazienza piuttosto che la resistenza. E’ una scelta legittima, ormai radicata nei quindici anni di egemonia berlusconiana, ma, occorre dire, una scelta sempre perdente. Tu taci. I cittadini non ti notano, e non ti votano. Essi governano. Detto “di là” (dalla parte della maggioranza di potere) significa “ragazzini lasciateci lavorare. Noi siamo i migliori, perché qualcuno dovrebbe farci perdere tempo?”. Come si vede, quando la raccomandazione è comune, i toni bassi sono una invocazione che deprime l’opposizione e dà autorevolezza a chi governa. Le frasi sono identiche ma il significato è opposto. E’ utile a una parte sola. Risposta alla seconda domanda.   “Abbassare i toni” è un ammonimento unicamente italiano, che non potreste ascoltare in alcun altro paese democratico. Se andate a verificare, simili raccomandazioni erano estranee anche alla vita politica italiana prima di Berlusconi. L’espressione “legge truffa” nata nei primi anni Cinquanta per definire, con estrema energia, una sgradita ma legittima proposta elettorale del governo di allora, non ha indotto nessuno a invocare toni bassi. L’invenzione dei toni bassi risale al Berlusconismo. Sono stati subito catalogati come “toni troppo alti” e poi “eversivi” e poi “criminogeni” e poi “omicidi” e poi “terroristici” tutti gli argomenti sollevati contro il discusso primo ministro (che pure si è sempre espresso a voce molto alta), persino quando erano presi dalle carte giudiziarie, dalla stampa internazionale o da dichiarazioni, ripetute alla lettera, dello stesso primo ministro. Il fatto è che il sistema politico Berlusconi non è una ideologia, non è un sistema di idee o una visione del mondo. E’ esclusivamente la persona, la vita, le avventure e gli affari di Silvio Berlusconi. L’uomo di Arcore è cosciente della sua vulnerabilità, che è documentata e certificata in molte inchieste e tribunali, perciò ha inventato, come male   intollerabile e inaccettabile, l’antiberlusconismo. E’ una bieca macchina fondata sul complotto giudiziario. E il gossip giornalistico. Per non si sa quale decisione, l’opposizione italiana, in tutte le sue incarnazioni, ha condiviso un sincero orrore per l’antiberlusconismo. Evitando di toccare il cuore del problema, purtroppo, continua a perdere.    Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10  lettere@ilfattoquotidiano.it  

IL FATTOdi ieri 29 Novembre 1938.....nessun commento da parte mia...

  C’è aria minacciosa di razzismo, in giro. Di xenofobia proterva. Di apartheid strisciante. Anche nelle nostre scuole, per le quali ci sono odiose proposte di classi-ghetto. Qualcosa che ci ricorda leggi vergogna come quella “Per la difesa della razza nella scuola italiana” pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 novembre 1938 e di cui riportiamo, senza commento, alcuni aberranti stralci.

“Art. 3 A qualsiasi ufficio od impiego nelle scuole di ogni ordine e grado, pubbliche e private, frequentate da alunni italiani, non possono essere ammessi alunni di razza ebraica… 

Art. 4 Nelle scuole d’istruzione media frequentate da alunni italiani è vietata l’adozione di libri di testo di autori di razza ebraica. Il divieto si estende anche ai libri che siano frutto della collaborazione di più autori, uno dei quali sia di razza ebraica nonché alle opere che siano commentate o rivedute da persone di razza ebraica… 

Art. 5 Per i fanciulli di razza ebraica sono istituite, a spese dello Stato, speciali sezioni di scuola elementare nelle località in cui il numero di essi non sia inferiore a dieci… 

Art. 8 Dalla data di entrata in vigore del presente decreto i liberi docenti di razza ebraica decadono dall’abilitazione”.     

di: Giovanna Gabrielli

domenica 29 novembre 2009

Silvio, alias Mohammed Esposito

Legittimi Impedimenti | Carlo Tecce (il Fatto Quotidiano)
29 novembre 2009
Siamo seri. Il ragionamento di Silvio Berlusconi a Olbia è accademico: “Se oggi il turismo rappresenta il 10 per cento del Pil, noi dobbiamo portarlo al 20 per cento”. E chi tira su il Pil? “Le hostess. Mi ero proposto per il casting”. E che faranno le hostess per il Pil? Potranno raccontare barzellette. Il presidente del Consiglio tira fuori una scenetta ambientata sui sedili di un volo Alitalia: giovanotto che di Pil la sa lunga, ragazza corrucciata accanto. “Che libro legge?”, chiede lui. “Un libro sull'amore”, risponde lei. “E di cosa parla?”. “Sostiene che gli uomini più romantici siano i napoletani, quelli sessualmente più potenti gli arabi”. “Piacere, Mohammed Esposito”. 
E Berlusconi, più napoletano che arabo, strizza l’occhio al vescovo di Tempio, seduto in prima fila e quasi collassato: “Poi, Eminenza, passo da lei a confessarmi”. Oggi è una domenica bestiale, un giretto in Chiesa sarebbe utile e comodo. Il musetto psichedelico di Ghedini ha stancato. E poi i tribunali sono chiusi, il Milan gioca a Catania, Veronica bussa a denari, Noemi lunedì ha un compito in classe... Se per l’anima c’è sempre un condono peccatorum, per la noia ci sono dieci serie della Piovra da rivedere. Per entrare nei ruoli. Con la fantasia, of course.

venerdì 27 novembre 2009

BANCHE E PROFITTI: QUANDO LA FINANZA SI MANGIA L’INDUSTRIA....

C'è una storia che illustra bene il rapporto tra finanza ed economia reale in questi mesi di fine crisi. La racconta bene il Financial Times di ieri, sotto un titolo chiaro: “Corporate valdalism”. La questione è questa. Safilo, il produttore di occhiali, ha un bond in scadenza che va rifinanziato, cioè deve trovare nuovi finanziatori che credano nell’impresa e siano disposti a prestarle denaro. Se non li trova, ci sono 8 mila posti di lavoro a rischio. Il punto è che questi finanziatori latitano, perché il gruppo creditizio olandese Hal cerca di collocare le obbligazioni a un prezzo   troppo elevato, per massimizzare il proprio profitto. Il risultato è che l’emissione obbligazionaria di 280 milioni risulta poco allettante e che Safilo è in bilico, tanto che la scadenza per aderire era oggi ma è stata estesa di altri tre giorni. Perfino il quotidiano della City, l’alfiere cartaceo del libero mercato e di quello che Tremonti chiamerebbe “mercatismo”, riconosce che da parte della banca questo è un comportamento un po’ rischioso in un momento in cui tutti, almeno per un po’, vogliono abbattere i “masters of the universe” della finanza. (Il Fatto Quotidiano di oggi)

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Chi ieri sera ha visto Anno Zero, può rendersi conto di come vadano avanti le Italiche Imprese.....Buon pro...
Masaghepensu  (Ma se ci penso)




MARRAZZO Chi lo voleva rovinare? .......

  Una regia dietro l’affaire del Governatore: iniziano a parlarne i difensori dei carabinieri in carcere
  di Rita Di Giovacchino
  Alla fine la tesi del complotto fa capolino in questa sarabanda di presunti delitti e cadaveri veri, pusher, cocaina, trailer di film porno e telecamere nascoste nelle alcove di via Due Ponti. Investigatori dell’una e dell’altra sponda minimizzano, ma al primo piano della Procura sullo sfondo del caso Marrazzo qualcuno comincia a intravedere la trama di una ‘struttura deviata’.    L’ambiente degradato della periferia nord di Roma, crocevia di ogni sorta di traffico, offre generosi spunti per estorsioni, ricatti e, se il ruolo politico ricoperto dalla vittima è importante, forse complotti. Definizione che sottende un intervento subdolo teso ad alterare gli equilibri politici. Proprio come è accaduto con il governatore del Lazio. Ipotesi ancora “metaprocessuale”. Così la definisce un pm. Ma che è stata del tutto respinta da Marrazzo che si è limitato a denunciare   una “rapina” compiuta da pubblici ufficiali, ma ha negato con forza ogni ipotesi di ricatto.    Invece, a sorpresa, di complotto cominciano a parlarne i difensori dei carabinieri in carcere. “Ho la sensazione che i carabinieri coinvolti nell' affaire Marrazzo siano stati strumentalizzati da una regia diversa. Insomma si sono ritrovati all'interno di un complotto che aveva come obiettivo politico Piero Marrazzo”, ha detto in un'intervista al La Stampa l'avvocato Bruno Von Arx che difende Luciano Simeone, il più giovane dei militari coinvolti in questa faccenda. Pensa davvero   che ci troviamo di fronte a uno scenario degno di Le Carré? “Le mie parole sono state un po' enfatizzate, penso quello che pensano tutti”, cerca di minimizzare Von Arx penalista napoletano con ascendenze asburgiche che in realtà non smentisce affatto. “Una qualche regia c'è stata, credo piuttosto all'insaputa dei carabinieri intervenuti a via Gradoli”.    In particolare del suo assistito, che lavorava alla compagnia Trionfale da pochi mesi. Molti dei quali trascorsi in malattia per un tumore linfatico. Era tornato in servizio alla fine di maggio e il 3 luglio è incappato nell'operazione Marrazzo. Spiega Von Arx: “Erano Tagliente e Testini, trasferiti al Trionfale dalla caserma Tomba di Nerone, che opera nella zona Cassia e Flaminia ad avere consuetudine a trattare i trans. Non a caso erano stati avvertiti da Cafasso, un loro confidente.   Non stia a sentire Natalie in televisione: la droga era lì nel piatto e il pusher ora morto si è imbucato nell'appartamento e ha girato il video”. Ovvero Cafasso, un confidente dei carabinieri molto intimo sia di Brenda che di Natalie, amico del maresciallo Tagliente, uno che navigava tra i viados come un pesce nell'acqua. E in possesso di segreti che potevano “rovinare mezza Roma”. Segreti che puntualmente riferiva ai carabinieri. Siamo in presenza di schedature? “Inevitabile, questo è   l'humus del caso Marrazzo”, ribadisce l'avvocato Von Arx.    Il fatto è che nessuno dei protagonisti di questa storia racconta la verità. Secondo un alto ufficiale dei carabinieri, che ha avuto un ruolo importante nell'indagine che ha portato all’arresto degli ‘infedeli’, la chiave di tutta la vicenda sta nella rivalità tra Brenda e Natalie. Erano state grandi amiche, poi avevano litigato. A causa di Marrazzo? Forse. Tra loro c'era una vera guerra dietro la quale s'intravede ancora Cafasso che continuava a frequentare entrambe. Un triangolo lacerato da interessi e segreti che finora è costata la vita a due persone e la carriera politica all'ex Governatore.    Secondo le amiche di Brenda è stata Natalie, che ora si comporta da vera amica, a tirare il tiro mancino a Marrazzo. D'accordo con Cafasso, con i carabinieri e una certa Giois, un   trans molto legato a un maresciallo della compagnia Trionfale. Un sospetto non del tutto infondato, dice l'ufficiale, che apre però la strada a nuovi veleni. Ipotesi su cui soffia un vecchio amico di Brenda, anzi un ex fidanzato come ammette lui stesso in un’intervista a Novella 2000. Si chiama Giorgio T. e descrive la sua ex come la pedina di un gioco più grande di lei o, se preferite, di lui: ricattato e ricattatore, Brenda aveva collocato una piccola telecamera sopra il letto e filmava in casa i propri clienti. A dirlo è un ex spacciatore, finito più volte in carcere, ma che conosce il mercato del sesso proibito e i forti legami tra viados e carabinieri.   Una testimonianza da prendere con le molle visto che ad arrestarlo un paio di volte sono stati proprio Tagliente e Testini. E che si è visto soffiare il ruolo pusher da Cafasso. Lui dice che Brenda era un confidente già dal 2006: a loro passava i filmati con i clienti importanti. Tra questi avvocati, medici e politici. Ma nella casa di via Due Ponti la telecamera non è stata trovata.  
  (Da Il Fatto) Brenda e la sua casa in via Due Ponti (FOTO ANSA)
 

L’ITALIA? È FRITTA ..!!.........


Antonio Tabucchi parla di stampa libera (e non) Ai giornalisti italiani dice: fatevi sentire in Europa

di Silvia Truzzi
 
Rumori francesi, italici echi. Come si fa a far parlare la stampa italiana di un caso italiano con protagonisti italiani? Se ne scrive Oltralpe, naturalmente e nient’affatto lapalissianamente. Il tam tam è partito dalla terra di Montesquieu, dove in questi giorni ci si occupa di una maxi richiesta di risarcimento danni indirizzata ad Antonio Tabucchi. Mittente: Renato Schifani, offeso da un pezzo firmato dallo scrittore e apparso sull’Unità. L’appello – lanciato dall’editore Gallimard su Le Monde e sottoscritto da intellettuali, premi Nobel e giornalisti di tutto il mondo – s’intitola “Nous soutenons Antonio Tabucchi”. Beffardo destino o lungimirante profezia dell’autore di “Sostiene Pereira”.   Professor Tabucchi, perché questo appello dalla Francia? Lo chiedo  io a voi. Perché non l’ha fatto prima la stampa italiana? E’ un problema non mio.Si sarà fatto almeno un’idea. Ripeto: la questione non riguarda me, riguarda la stampa e gli editori italiani. È stato fatto da un editore francese in Francia. Evidentemente c’era un vuoto in Italia. È un vuoto che riguarda solo questo caso o è generale? La Commissione europea, il Parlamento europeo, il Consiglio d’Europa hanno adottato una direttiva con cui invitano l’eventuale querelante a portare in tribunale non   soltanto il nome e la persona che lo ha criticato, ma anche il giornale sul quale il testo in questione è apparso.
Il giornale è persona giuridica. In America non è possibile citare un giornalista o uno scrittore escludendo la testata su cui è uscito l’articolo oggetto del contendere. Motivo: se un giornalista che ha criticato un politico molto importante – o un miliardario o l’amico di un miliardario – venisse portato in giudizio come se fosse un privato cittadino, sarebbe massacrato dalla potenza della persona criticata. Quindi la direttiva europea, fatta a somiglianza della legge americana, è pensata per difendere la libertà di parola, la libertà di espressione dalla quale discende la libertà di stampa. Perché la libertà di stampa è una conseguenza della libertà di parola.      Sono libertà sorelle.    Vero. Ma se si isola una persona e la si porta davanti a un giudice, il potente scoraggia fortemente ogni suo eventuale futuro critico. È un sistema intimidatorio: i giovani non si permetteranno mai di fare una cosa simile, con un precedente così pesante. Corrisponde allo schema maoista, quando Mao diceva: colpirne uno per educarne cento. 
L’Italia è maoista? Non so se maoista, fascista, mafiosa o piduista. Dicevo semplicemente: in un paese civile si cita in giudizio anche il giornale.Non è accaduto nel caso del suo pezzo su Schifani apparso sull’Unità.Per questo la Francia – che è ancora un paese civile – ha   pensato di farlo sapere. Perché tutto questo era ignoto in Italia.L’appello francese nasce per far conoscere il caso agli italiani. Altrimenti il senatore Schifani aveva buon gioco: escludendo l’iniziativa dell’Unità, ha ottenuto l’effetto migliore. Quello del silenzio stampa. Nessuno in Italia aveva dato notizia che uno scrittore aveva ricevuto una richiesta di risarcimento danni di un milione e trecentomila euro per un articolo di giornale. La morale è che abbiamo bisogno di una tutela sovranazionale? 
È solo una constatazione. L’appello francese è servito a far sì che in Italia si sapesse.   E’ successo anche per altre vicende italiane. La stampa internazionale ci guarda con un certo stupore per il modo che abbiamo di dare, o non dare, le notizie. Di fare, o non fare, le domande. Come stampa italiana dovreste farvi voi delle domande. E poi farne alcune anche all’Europa. L’Europa fa finta che questa anomalia italiana non esista: sostiene che la libertà di stampa nei paesi membri è   garantita. Vi sembra normale? Forse dipende dal fatto che non esiste praticamente più un editore puro. E dal legame tra politica, imprenditoria e stampa. Se voi – voi giornalisti, dico – credete che sia anormale è vostro dovere andare a Bruxelles – non è nemmeno tanto lontana – e chiedere conto di questa situazione. Spetta a voi muovervi. Non potete pretendere che i cittadini-lettori   prendano un treno e vadano a protestare. Quel treno lo devono prendere i direttori dei giornali che si sentono lesi nella possibilità di svolgere liberamente il loro lavoro.Torniamo a Schifani. Il nostro giornale ha pubblicato la storia di un palazzo costruito da un imprenditore mafioso nel quale hanno trascorso la latitanza boss di prima grandezza. Schifani, prima che quell’imprenditore fosse arrestato lo aveva difeso contro due signore, riconosciute poi come vittime della prepotenza dell’imprenditore. Nessuno ha chiesto conto, in nessun modo e in nessuna sede, di questo fatto. 
Non è un reato, ma è un dato rilevante: politicamente e sotto il profilo dell’opportunità per la seconda carica dello Stato. La stampa indipendente non   l’ha ripresa. Quindi la notizia è falsa. Non è stata smentita nemmeno da Schifani. Insisto: è falsa. E aggiungo: se non è falsa la vostra notizia, sono falsi gli organi di informazione. Questa storia sarebbe una bomba in qualunque altro paese. In Italia no. Allora? Allora chiedo: che senso hanno le manifestazioni che sono state fatte sul pericolo che corre la libertà di stampa? A cosa servono? Ma perché i giornalisti indipendenti convocano una manifestazione sulla libertà di stampa che corre il pericolo di essere soffocata, se si soffoca con le sue stesse mani?    Che fare, quindi ? Se le cose stanno così e se voi non fate niente, lasciamo andare l’Italia dove deve andare. Perché l’Italia, se nemmeno c’è più una stampa a far la guardia al potere, è fritta. Si ricostruirà sulle macerie, come dopo la Seconda guerra mondiale. Nemmeno un consiglio su quale possibile resistenza, sperando di scongiurare le macerie?   Gli italiani, non solo giornalisti, che ritengono violata o diminuita la loro libertà di essere informati, possono assumere un giurista internazionale che difenda la loro causa di fronte all’Europa. Potete essere rappresentati da un avvocato che documenti come, per esempio, una certa percentuale della stampa e delle televisioni italiane appartenga a un’unica persona – supponiamo che sia il 70 o 80 per cento – e con questa documentazione vi presentate come se foste davanti a un tribunale. 
Dopodiché l’Ue deve anche assumersi le proprie responsabilità. Ma se non lo fate l’Europa lascia correre. Il laissez-faire forse ha anche convenienze. Oggi c’è un referente, non vedo perché non interpellarlo. C’è un circolo vizioso in questo paese che deve essere rotto.   Diamo per presupposto che i margini di libertà dell’informazione sono stati progressivamente ridotti. C’è un problema di democrazia: il consenso   dei cittadini si forma attraverso i media. Certo che c’è, ma il Parlamento italiano non lo risolve. L’unica possibilità è un’istanza superiore. L’Europa ha precise regole. Scusi, ma l’Europa non ci potrebbe dire “sbavagliatevi” da soli? No: c’è una Carta europea. Perché non si accoglie la Turchia? La Ue ha anche un compito di sorveglianza. Non è soltanto la moneta unica. Lei vive in Portogallo. Ci tornerebbe in Italia? Vivo in Portogallo per ragioni personali. Ma comunque sì, anche se non mi piacciono affatto tutte le leggi ad personam che si sono susseguite in questi anni. Preferisco non doverle subire. Anzi, a proposito di leggi. Faccio io ora una domanda. Sono lontano, ma leggo i giornali italiani. Ciampi è stato di nuovo eletto presidente   della Repubblica? No. Il presidente è Napolitano. Mi stupisco, ho avuto una specie di déjà vu. Su Repubblica di qualche giorno fa ho letto un pezzo su Ciampi. Ciampi: no alle leggi ad personam. Ma Ciampi ha avuto il suo settennato per fare quello che credeva. Ha firmato le leggi che desiderava. Il lodo Schifani era una legge ad personam e lui l’ha firmata. E poi, ai tempi, su Repubblica si ripeteva che non bisognava tirare Ciampi per la giacca. E che succede ora? Sempre su Repubblica Ciampi tira per la giacca Napolitano. Ma queste cose dovrebbe dirle Napolitano. È un consiglio al presidente?No,un’osservazione. Mi provoca confusione. Sui giornali italiani si dibatte di Ciampi che dà consigli su leggi che lui avrebbe potuto non firmare. Ma che diavolo capita in Italia?...(
(Il Fatto Quotidiano 27 Nov.09)


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Che capita in Italia..? Succede che, per la stupidità o l'ignoranza di molti (troppi) italiani, ci ritroviamo con un burattinaio che, con mani abili, muove le sue marionette (noi).!Dopo il 20tennio fascista di peggio non poteva capitarci, anzi, ora è molto peggio perchè,
con il suo appoggio, le cosche mafiose si stanno impadronendo dell'Italia e degli italiani. "  Dalla padella siamo cascati nella brace".  Auguro a tutti, un lieto fine settimana.
Maseghepensu (Ma se ci penso)   


Benvenuti sul mio Blog

Non criticatemi, cerco soltanto di passare il tempo e, mostrare il mio "indirizzo" politico (politica, la cosa più sporca che esista al Mondo).
Masaghepensu (Ma se ci penso)

appello fini travaglio


Lino Giusti,Luigi Morsello,Daniela,Botolo,Ramona,Andrea Camporese,Tapelon,Farfallaleggera,

Masaghepensu

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Non più giovane ma non (ancora)decrepito, sono soddisfatto della mia Vita e non domando altro

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